venerdì, Aprile 19, 2024
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Consiglio comunale, l’uomo solo al calcio balilla.

ACIREALE – Neanche dieci mesi sono bastati per andare un passo avanti alle questioni del regolamento del consiglio comunale. Ore ed ore a disquisire sulle norme e le loro interpretazioni; come pioggia scendono giù grandi gocce di sudore mentre si dibatte su chi conosce meglio le norme, i regolamenti, i procedimenti, i lavori e le loro procedure. Insomma qualcosa a metà tra la desolazione dell’uomo solo che gioca al calcio “balilla” e l’attesa inutile di “Godot”.

Mozioni, interpellanze, interrogazioni, l’ordine dei lavori, le motivazioni di voto, gli atti di indirizzo. Ed ancora i tempi, i minuti a cranio e per gruppo, le riunioni dei capigruppo, il ritorno in aula ed ancora capigruppo che danno le spalle al pubblico e allo streaming.

Ultimamente, in aula consiliare, si possono spendere numerosi minuti di dibattito anche sul tono di voce da usare durante gli interventi. In poco meno di dieci mesi la minoranza è uscita, credo di ricordare bene, tre volte dall’aula, alcune volte non ci è stato o si è perso in corso d’opera il numero legale. La prima convocazione sembra essere solo un modo di dire, tanto c’è la seconda convocazione. Insomma come se dicessimo “ci vediamo alle 17 ma se vuoi puoi venire alle 18”, certamente non avremmo più amici ne saremmo conosciuti per la puntualità. Al posto di lavoro, a scuola e negli uffici il lavoro inizia da una certa determinata ora e non è prevista la seconda insulsa convocazione. Ma la politica, si sa, tiene per se (anche nella periferia dei consigli comunali) quel tanto di privilegi per sentirsi potente; qualcosa come l’isola pedonale davanti a Palazzo di Città mentre tutto intorno è il caos al pm10.

Il consiglio comunale sembra essere finito dentro un cliché già consumato ancora prima di superare la fase del rodaggio. E’ normale poter affermare che in aula le lunghe discussioni sui regolamenti non dovrebbe esistere. I consiglieri comunali, insieme al presidente del consiglio dovrebbero conoscere il regolamento alla perfezione perché questo è il minimo requisito richiesto a chi occupa una poltrona in rappresentanza dell’elettorato. Comprendiamo bene che molti elettori non sono interessati a sapere se i loro rappresentanti conoscono i regolamenti ma, siamo certi, tutti i cittadini sono interessati a sapere che in aula consiliare si dibatte delle questioni della città. E le questioni non sono certamente la buca del quartiere del consigliere comunale; le questioni sono molto più serie. Se i consiglieri andassero a leggere e studiare (anche a memoria) quali sono gli indici di vivibilità delle città forse, con il tempo necessario di carburazione, potremmo assistere a sedute di consiglio dove si inizia a parlare e proporre soluzioni per il decoro urbano, per l’accoglienza dei visitatori, per far rispettare ai cittadini incivili quella quote di norme del vivere sociale. Ed ancora, attraverso il consiglio comunale dovremmo anche poter conoscere cosa si sta facendo per contrastare l’evasione delle tasse comunali, cosa fare per indirizzare e stabilire un capitolo di bilancio al sociale, comprendere come è messa la nostra città in termini di povertà, emergenza abitativa, lavoro nero, disoccupazione, produttività del territorio.

In consiglio comunale si sono, chissà per quale ragione, convinti di far parte di una categoria speciale. Si percepiscono come colleghi, si danno grosse pacche sulle spalle, poi ritornano nelle loro trincee a disquisire per ore di fatti che non arrivano alla gente; parole che nel migliore dei casi diventano perle per una cerchia assai ristretta di addetti ai lavori.

Eppure il “posto” di consigliere comunale ad Acireale, così come in tante realtà del sud, è molto ambito. Normalmente sono circa seicento gli aspiranti consiglieri comunali in corsa durante le elezioni amministrative. Seicento candidati al “concorso” che si infilano in liste civiche dai nomi più fantasiosi, si annidano ora da una parte ora dall’altra a seconda di come gira il vento.  Producono slogan sensazionali, spesso privi di logica e sintassi, si sbattono per due mesi e poi incrociano le dita nella speranza di sedere al civico consesso. Seicento in cerca d’autore, seicento che dopo le elezioni vanno in ibernazione per almeno cinque lunghi inutili anni.

La speranza comunque è sempre l’ultima a morire ed anche in questo caso, difficile e radicato, possiamo solo augurarci che le prossime sedute di consiglio comunale non siano solo caos e accademia sui regolamenti ma anche momenti precisi in cui iniziare ad indicare alla città cosa si vuole fare da grandi.

Il tempo del teatro è finito ora bisogna iniziare a fare maledettamente sul serio.

(mAd)

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