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genitori, la disabilità e lo spettro del futuro.

La felicità di un genitore è certamente vedere i propri figli con un futuro migliore del loro. Una proiezione in avanti che spera sempre, per i propri figli, un’esistenza futura che possa essere sana, felice, solidale, amorevole. In una parola sperare in un’esistenza felice per i figli. Una dimensione interiore che appartiene alla genitorialità, che è il motore per lo sviluppo umano, che contiene un grande significato non solo “antropologico” ma di umanità; ovvero quella dimensione astratta che appartiene solo al pensiero umano, appartiene sia  alla ragione che al sentimento in un abbraccio inestricabile.

La rinuncia o l’inquinamento del pensiero di felicità e di serenità rispetto al futuribile dei propri figli è un dolore che prende l’anima, che strazia il cuore, che toglie il fiato e che riporta in una condizione realissima e crudele. La domanda gira e rigira martoriando l’esistenza: cosa farà mio figlio disabile da grande? Chi si occuperà di lui? Come e quanto sarà amato? A cosa dovrà rinunciare? Quanto stupore avrà percependo e vivendo la scomparsa dei genitori?

In una società amorevole e solidale questi interrogativi non dovrebbero esistere, ogni disabilità (anche la più grave e invalidante) dovrebbe trovare serena collocazione in una società accogliente e gestita con saggezza ed empatia, invece da noi tutto ciò rimane sospeso, ogni pensiero positivo per il futuro prossimo è un incubo, diventa certezza di un percorso di rinunce e di afflizione.  Il welfare è vecchio e corrotto, si acquistano armi per miliardi di euro e non si trovano le risorse per potenziare gli insegnanti di sostegno, l’apparato sanitario pubblico si occupa solo marginalmente (le cure) dei disabili ma non è in grado di organizzare e promuovere una rete di sostegno ed integrazione che sia reale, concreta, efficace.

Quest’anno centinaia di bambini e ragazzi con disabilità andranno a scuola senza il giusto sostegno. Nell’organico dei docenti di sostegno le carenze sono impressionanti, posti che saltano, bimbi che devono accontentarsi di poche ore la settimana e docenti che devono dividere le loro ore tra più soggetti tutti bisognosi i attenzioni, di didattica e di cure. Una vergogna inaccettabile per una società che pensa ottusamente al pil e dimentica i deboli, li abbandona, butta nello sconforto decine di migliaia di famiglie, di bravi genitori, di fratelli e sorelle. Lascia sgomenti e presenta il baratro una società che non riesce ad accogliere, amare e apprezzare la differenza, la disabilità, il dolore.

C’è un grande esorcismo collettivo che distorce il concetto di solidarietà e promuove (inesorabilmente) la visione che la disabilità è un problema di chi la vive e delle loro famiglie. Ed il silenzio dei genitori, lo so, è dolore sordo, inespresso, inconsolabile.

I disabili, i deboli, gli esclusi e gli emarginati sono sempre sopra la torre, sempre in attesa della spinta nel vuoto, perché nessuno vuole confrontarsi ed abbracciare il dolore, la follia, la differenza. In questa società animale è la linea dello sviluppo della forza che governa e che riduce il pensiero d’amore e di accoglienza ad un atto personale sottraendolo all’azione collettiva e di sviluppo.

(mAd)

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