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Gesù Cristo, l’esempio è in vita. Qui e ora.

Sono cristiano e non credente. Ateo. Non credo in Cristo figlio di Dio e amo molto Gesù di Nazareth nato a Betlemme di Giudea per necessità e per l’immenso amore paterno di Giuseppe per Maria e per il nascituro. Giuseppe non poteva e non voleva rispettare la legge che gli avrebbe imposto di “condannare” Maria per adulterio. Giuseppe compie, quindi, un immenso atto d’amore, protegge Maria e suo figlio (che porta in grembo) e insieme muovono verso altri luoghi in cerca di un posto dove partorire. Si spostano, cioè, per evitare di sottostare alla legge della lapidazione, si muovono per promuovere la vita e battere la morte. Fu disubbidienza civile mossa dall’amore e fu un bene per tutta l’umanità.
Gesù, quindi, nella sua grandezza nasce e cresce in luoghi sottoposti al dominio di Roma Imperiale e della Chiesa di Hanna e Caifa. Gesù, il figlio di Maria, nella sua breve e folgorante vita promuove la libertà e il riscatto degli ultimi e non lo fa spingendo lo sguardo oltre gli uomini, al contrario ha i piedi ben saldi nella terra dove muove i passi, dove dispensa riflessioni sulla giustizia sociale, sulla pericolosità del potere del “tempio dei mercanti”, lo fa in luoghi dove la repressione e la violenza erano fatti di ordinaria amministrazione.
Gesù si muove con gli ultimi, non giudica puttane e ladri e li accoglie tra i suoi pensieri, vive una vita in contrasto con i poteri che affliggevano il popolo ebraico e da quel popolo venne condannato alla croce, con il classico meccanismo, tetro e forcaiolo, della folla. Quella folla che in qualche modo lo amava ma che, allo stesso tempo, era succube del potere religioso e clericale.
Celebrare Cristo mostrandolo alla croce è, quindi, una riduzione teatrale e cinica della vita e del pensiero del figlio di Maria, una riduzione fatta di sangue e torture che non aggiunge nulla alla vita di Gesù al contrario ne riduce la portata perché sposta l’attenzione dalla vita alla morte. E’ la vita e i pensieri di Cristo che sono al centro del pensiero rivoluzionario e la sua morte non è altro che il predominio del potere clericale e imperiale, non è altro che l’esigenza di mostrare il sacrificio lasciando, nella nebbia dell’oblio, il vero riscatto sociale che Gesù promuoveva e predicava.
La croce è il simbolo della morte e della tortura e non aggiunge nulla alla figura di Cristo perché di fatto lo riduce a sacrificio quando, invece, la possenza di Cristo risiedeva nelle sue parole vive e pulsanti, nel desiderio di unirsi con gli ultimi, con gli umili. Cristo è l’uomo che scaraventa in aria la merce dei mercanti, quello che urla la sua stanchezza, quello che percepisce il dolore della repressione, quell’uomo che come un folle sognatore, duemila anni fa, ha speso la sua vita per cercare la libertà, per conoscere e condividere i dolori dei poveri, dei malati, dei diseredati.
Oggi Cristo è dentro un barcone nella tempesta dei mari, dentro una vita di stenti, nel dolore dei poveri, nel sentimento umano di collaborazione, empatia, sentimento, amore. Cristo oggi è in ogni angolo dei nostri pensieri tutte quelle volte che sentiamo, come nostri, i dolori dei vinti, le schegge delle bombe intelligenti, il bagliore del fosforo, il volto di un bimbo siriano, libanese, palestinese.
Cristo è nella vita ed è qui e ora. Alzare troppo lo sguardo al cielo fa dimenticare il volto degli uomini e delega al sopranaturale la ricerca della felicità e l’assunzione delle responsabilità.

(mAd)

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