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Le canzoni dei Beatles – “Eleanor Rigby”

Photo of Paul McCARTNEY and BEATLES

Iniziata come un brano in due accordi su una ragazza infelice, Eleanor Rigby è diventato un capolavoro di narrativa in grado di riassumere, attraverso poche fotografiche immagini di due personaggi distinti, tutta l’insensatezza di una vita in solitudine. Già il primo abbozzo dell’asciutta melodia dorica che si innalza dalla cruda monotonia della musica creava l’atmosfera ideale per dispiegare una narrazione che si distacca per profondità e compiutezza da tutta la produzione precedente del gruppo. Basta aggiungere che praticamente nello stesso periodo McCartney aveva scritto lo spensierato divertissement di Yellow Submarine, per accreditare Paul, senza bisogno di altri esempi, come uno dei più versatili compositori del XX secolo (un gruppo nel quale bisogna certamente includere anche John Lennon).

Evidentemente un pezzo di McCartney per la fotografica lucidità della propria trama così come per la fiduciosa scelta dello scarno arrangiamento, Eleanor Rigby ricevette però numerosi contributi da diverse persone, tanto da spingere Lennon a dichiarare di aver scritto “circa il 70% del testo”.

Paul iniziò la canzone, come tante altre di quel periodo, al pianoforte dell’appartamento dei genitori di Jane Asher in Wimpole Street, rimanendo a lungo sul Mi Minore sulla scia dell’interesse che diversi compositori dell’epoca (vedere If I Needed Someone e The Word) avevano per la musica indiana. In questo primissimo embrione del brano, la protagonista si chiamava Miss Daisy Hawkins e doveva avere più o meno l’età dell’autore. Il secondo step compositivo fu l’immagine della protagonista che raccoglie il riso dopo il matrimonio. Poi McCartney sviluppò la fondamentale intuizione che la protagonista avesse perso non solo quel matrimonio, ma anche il proprio: di qui la sua trasformazione in un’anziana zitella, mentre prendeva forma l’idea del secondo personaggio della storia, l’ecclesiastico padre McCartney.

I Beatles al gran completo, più Pete Shotton, amico d’infanzia di Lennon, si trovarono poi a casa di quest’ultimo per completare il brano: qui Ringo suggerì l’immagine del prete che si rammenda i calzini e propose di cambiare cognome a padre McCartney per non generare confusione (il sostitutivo McKenzie fu trovato sull’elenco telefonico). George Harrison fornì, nel suo stile tipicamente laconico, il commento “Ah, look at all the lonely people”, mentre Pete Shotton, che conviene con McCartney nel ricordare che il contributo di Lennon fu pressochè nullo, suggerì l’idea, poi sviluppata in seguito da Paul, che i due personaggi si potessero “incontrare” nel finale.
Paul McCartney: voce
John Lennon: cori
George Harrison: cori
Tony Gilbert: violino
Sidney Sax: violino
John Sharpe: violino
Jurgen Hess: violino
Stephen Shingles: viola
John Underwood: viola
Derek Simpson: violoncello
Norman Jones: violoncello (da pepperland.it)

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