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Perché si sono ridotte le iscrizioni a Architettura

università catania

 

Il rettore dell’università di Catania, prof. Pignataro, si chiede e promette di indagare sul perchè le richieste d’iscrizione alla facoltà di architettura (con sede a Siracusa) dell’ateneo catanese si sono ridotte di un centinaio. Dalla tribuna di Fancity, piccola forse, ma attiva e democratica, tenterò di dirglielo, forte della mia età, delle decine di scritti premonitori al riguardo pubblicati negli ultimi…vent’anni, del mio eterno desiderio, inappagato, di insegnare a Architettura. Spero che accetti e risponda- perché no?- proprio su Fancity.
Qualche anno fa accompagnai diversi miei alunni del liceo classico a Siracusa a visitare la Facoltà, nel quadro delle iniziative per l’orientamento (un aiuto che si dà ai giovani per districarsi nella… foresta di mangrovie dei corsi universitari. Devo dire che quando andai a Firenze, povero in canna, nel ’71, a iscrivermi a Architettura – a quei tempi non c’erano i test d’ingresso- avevo le idee chiarissime). In quell’occasione portai con me una decina di copie di un mio articolo scritto nel 2011 in cui facevo il punto della situazione prendendo come spunto l’elogio di papa Benedetto XVI a sessanta artisti invitati per il suo 60° di sacerdozio tra cui, tanto per cambiare, l’ottimo Paolo Portoghesi, l’unico che in Italia lavora insieme ad altri cinque o sei. Notavo tra l’altro nell’articolo: “ I privati non esistono più: provate a contare quante imprese edili […] con almeno venti operai sono sopravvissute; i concorsi di idee sono un lontano ricordo; lontanissima è l’epoca in cui le amministrazioni locali davano incarichi. Erano tempi di corruttela? So soltanto che eravamo più fiduciosi, giovani e vecchi, avevamo più soldi in tasca e c’era spazio e tempo per le rassegna di architettura e il coinvolgimento dei pittori e degli scultori […] “. Diedi alcune copie agli studenti, ed una la diedi pure al preside, che tenne a rassicurarmi, senza che io glielo avessi chiesto, che Architettura non aveva problemi.
Ed eccoci qua. Architettura è in crisi perché non si fa architettura, cioè non si lavora. E quando parlo di lavoro non intendo lavoro di edilizia generico, coi progetti di case continuamente rivoltati come sdrucite coperte. Non intendo la tendenza fattasi verbo di affidare ormai agli uffici tecnici dei comuni ogni tipo di realizzazione. ( E dire che se l’avesse fatto un sindaco di trenta anni fa, ed era ciò che suggeriva Benevolo che aveva visto in Germania una piccola cittadina con un ufficio di oltre cento tecnici realmente al lavoro, l’avrebbero accusato di sovietismo!) Intendo quel lavoro di alta qualità che serve a ridare vita ai centri storici, a creare nuove classicità ( per classicità intendo ciò che in futuro diventerà classico) nelle periferie e zone di espansione. L’inverno scorso, in un convegno di architetti a Giarre (accanto a me era seduto il sindaco di quel tempo) proposi di scegliere un quartierino della cittadina, aprire un rapporto coi privati proprietari, applicare le recenti leggi regionali sui centri storici. Silenzio (tranne qualcuno che venne a congratularsi vis à vis).
Per quanto riguarda specificatamente la Facoltà, e l’Università nel suo insieme, bisogna rilanciare gli studi e i laboratori con una presenza sul territorio in cui succeda esattamente l’inverso di ciò che sta succedendo , ad esempio,ad Acireale, dove l’amministrazione comunale mette avanti a ogni piè sospinto il nome dell’università dando a intendere che agisce col crisma dell’autorevolezza che promanerebbe dall’Ateneo.
Ma non risulta che l’Università stia scommettendosi sui piani regolatori (ammesso che essi abbiano ancora senso).
I galloni vanno conquistati sul campo. E’ questo il sistema per incrementare le iscrizioni alla Facoltà.

Ivan Castrogiovanni

(sdm)

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