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Piccola storia di Jaci – Lettera pastorale per la Quaresima 1914

Dopo il trionfo del Congresso Eucaristico del giugno 1913, mons. Arista suo malgrado fu trascinato in una feroce polemica politica, causata dal sospensione dell “expedit” a favore del barone Giuseppe Pennisi nelle elezioni politiche dell’autunno 1913. Il presule, dopo un periodo di silenzio, scriveva una lettera pastorale al popolo acese.

Lettera pastorale di S.E. Rev.ma Mons. D. Giovanni Battista Arista Vescovo di Acireale per la Quaresima del 1914. Acireale, Tip. Orario delle ferrovie, 1914.

Ed ora, discendiamo dalle serene altezze ove i ricordi del Congresso ci hanno trasportato; e, pur restando ai piedi del Tabernacolo, rivolgiamo la nostra attenzione sull’altro avvenimento che commosse tanto la nostra città e diocesi, le elezioni politiche.

Mai come questa volta, a mia memoria, si era assistito nella nostra città ad una lotta così accanita tra due partiti avversi. Le avvisaglie cominciate da tempo andaron crescendo sempre più all’avvicinarsi delle elezioni; ed Acireale, tanto distinta per la sua moderazione, si vide trasformata in un vero campo di battaglia.

Io rifuggo da ogni apprezzamento, di partiti e più da ogni apprezzamento di persone; son ben’ altre le considerazioni che voglio proporvi.

Però, è necessario che io faccia alcuni rilievi, per quanto il farlo mi rinnovi amarezza nell’anima.

Voi sapete, come per le elezioni politiche in Italia vige una legge precisa data ai cattolici dalla S.Sede, per la quale il partecipare alle urne “non expedit”; formula che , secondo una dichiarazione autentica , contiene un vero divieto.

Questa legge, o questo divieto lega le coscienze; ed è vana cosa il cercar sotterfugi o ripieghi per credere altrimenti. La S.Sede, e la S.Sede soltanto, per ragioni altissime, che non e’ dato a noi scrutare e tanto meno discutere o censurare, può sospendere o modificare tale legge.

Orbene, è un fatto doloroso che l’ardore della lotta politica turbò talmente l’animo di tanti, che pur si riconoscono buoni cattolici, da far loro dimenticare questa legge; e furon molti e molti quelli che impigliati nella lotta, la disprezzarono.

Questo fatto sarebbe stato grave da per sè; ma si rese ancora più grave allora quando dall’Unione Elettorale Cattolica Nazionale, che è organo autentico della S.Sede, venne la designazione del candidato che si proponeva ai cattolici, con che, implicitamente, veniva loro a sospendersi il divieto di poter lavorare in favore di quel candidato, e quando poi venne la sospensione effettiva del non expedit, con che i cattolici si licenziarono alle urne, esclusivamente in favore del candidato proposto.

Non ho bisogno di ricordare quel che avvenne in quei giorni. La passione dell’animo dei dirigenti in lotta si trasfuse in quello delle masse popolari; e Acireale fu come invasa dallo spirito di parte, che , rompendo ogni misura, fece perdere anche a gente giudicata seria, ogni equilibrio nel pensare, nel dire, nel declamare, nello scrivere. E in quei giorni, sì che mi tornarono in mente quelle parole che tante volte mi ripeteva nei giorni del Congresso l’amabilissimo Mons. Arcivescovo Bignami: “attento Monsignore, che il demonio vorrà vendicarsi del trionfo che Acireale ha saputo preparare a Gesù Cristo Eucaristia; se l’aspetti qualche grosso guaio; ma quando sarà venuto, ne riconosca l’autore”.

E il guaio grosso che preparava il demonio contro Acireale e il suo Vescovo, come sfogo di sua vendetta pel Congresso Eucaristico, io l’ho riconosciuto in questo inferno suscitatosi in mezzo a noi in occasione delle ultime elezioni.

Chi avrebbe più riconosciuto il popolo devoto acclamante a Gesù in quelle moltitudini tulmultuanti col grido di viva o di abbasso, diretto a questo e a quel candidato contendente?

O il buon popolo mio! Io l’amo tanto, e conosco quanto grande sia la bontà del suo animo, quanto profonda la sua religiosità, quanto vero il suo rispetto pei sacerdoti, pel Vescovo, per la S.Sede, pel Papa.

Eppure, debbo io ricordarlo?…NO. no, che tutto ho già dimenticato; e a me, anche ora, anzi, ora precisamente, piace proclamare ad alta voce che il mio popolo bisogna giudicarlo non dalle giornate di elezione, ma sì dalle giornate eucaristiche del Congresso.

E’ così, lasciate che dica tutto il mio pensiero, che sento risponde a verità. E il mio pensiero è questo: le agitazioni del popolo, gli eccessi dei capi che guidarono il popolo, e l’opera di coloro, che , o mascheratamente, o apertamente, seminarono con parole o stampe idee storte e sovversive nel popolo ( e sono costoro i veri responsabili!) dimostrano come sia penetrato anche fra noi quello spirito di insubordinazione e d’indipendenza che tenta scuotere la soggezione dovuta alle legittime autorità, nel che sta  risposta la nota dominante di quel modernismo condannato solennemente dal Papa

Sì, è penetrato fra noi!

Che direste voi di parole come queste, dette a me nei giorni turbinosi delle elezioni: ” che vuole, Monsignore; i tempi camminano, e camminano tutti… è legge cui sarebbe vano contrastare; anche il clero cammina coi tempi”.

Quali parole, mio Dio! Quasi che il progredire dei tempi abbia possa di cambiare la natura delle cose, o di mutare l’essenza delle virtù, o di scuotere le basi della gerarchia, o di rovesciare i diritti dell’autorità, e di quale autorità!… della Chiesa di Gesù Cristo.

E questo si chiama camminare coi tempi! Dunque non sarebbero ribelli coloro che volessero camminar così da trascinar dietro di sè e Vescovi e Papa, mal soffrendo che Papa e Vescovi pretendano ancora, mentre i tempi camminano, obbedienza e rispetto?

L’autorità della Chiesa!

Lasciate, lasciate che dai piedi del Tabernacolo ve la dica una parola, chiara e forte, come ha dovere il dirla un Vescovo, custode della verità. Chi è cattolico, apostolico, romano, non verbo neque lingua ma opere et veritate, riconoscere nell’autorità della Chiesa, Gesù Cristo medesimo, e come a Gesù Cristo obbedisce.

La Chiesa! Ma sarà forse un nome vano o di cosa astratta, cui non corrisponde persona viva che abbia voce da far sentire i suoi ordini? Ma è la Chiesa che parla quando parla il Papa, che della Chiesa è il capo venerato.

E parla il Papa, quando parlano gli organi ufficiali da Lui costituiti e preposti alla direzione di questo o di quel ramo di azione nella Chiesa Cattolica.

Chi ha dato a noi il diritto di misurare fin dove giunga l’autorità del Papa per limitare l’obbedienza che da noi gli è dovuta? Chi ha dato a noi il diritto di limitare al Papa la facoltà di costituire direzioni e presidenze, dicasteri e congregazioni nel regime così complesso e vario della chiesa cattolica? E che,? Forse possiamo noi dire al Papa: “Santo Padre, parlateci Voi quando volete da noi obbedienza; ma non ci parli alcuno in vostro nome, quand’anche l’aveste Voi rivestito di autorità”?  Ma non sapete che si mostra più devoto al Principe chi rispetta l’ultimo dei suoi vassalli e chi segue gli ordini da costui emanati in nome del Principe, anzichè quell’altro che non si piega  nè obbedisce, se non è il Principe in persona che direttamente gli dà i suoi ordini? Ma questa è cosa ovvia. anche nel regime di famiglia è così, I padri e le madri pretendono che i figli obbediscano anche ai servi quando ai servi lasciano ordini che riguardano i figli. Guai se dovesse essere altrimenti. La ribellione, il disordine, la disorganizzazione sarebbero inevitabili, E credete che possa concepirsi vera obbedienza al Papa, quando si dovesse ammettere la discussione sugli ordini che le autorità costituite dal Papa danno in nome del Papa?

Sentite: in una udienza particolare accordatami, il S.Padre mi domandò se il clero e il popolo della mia diocesi portassero rispetto e prestassero obbedienza al proprio Vescovo; e subito soggiunse: ” a me preme sapere questo perchè questo è l’indice più sicuro per conoscere se portano rispetto e prestano obbedienza al Papa. Il Papa sta tanto lontano…ed è facile dire: noi rispettiamo il Papa”.

Così è, fratelli e figliuoli amatissimi; chi ama il Papa e al Papa presta obbedienza, riconosce il Papa, vuol dire l’autorità. Chi ama il Papa e al Papa presta obbedienza, non discute, nè tanto meno sottilizza, né tanto meno snatura gli ordini che dal Papa promanano. E l’obbedire a tali ordini antepone ad ogni interesse, ad ogni umano riguardo; poichè sopra gli interessi ed i riguardi umani c’è la coscienza che grida: chi è col Papa è con Dio.

Si lascino per carità, le recriminazioni e le accusa…quel volere ascrivere a raggiri indegni gli ordini della suprema autorità… quel voler mettere in evidenza la inopportunità degli ordini da essa emanati…e, lasciatemelo dire, quello screditare le altre autorità, forse pure quella del Vescovo, declamando che noi si vuol prestare rispetto all’autorità della S.Sede e del papa; ma che ne discutiamo e ne disprezziamo gli ordini, solo perchè li giudichiamo provocati da falsi informazioni.

No, no fratelli amatissimi, non è questo il rispetto che si  deve alle autorità. Ricordatevi; il S. Padre misura il rispetto e l’obbedienza che si porta al Papa dal rispetto e l’obbedienza che si porta al Vescovo, e così ad ogni altra autorità legittimamente costituita.

Non credo che pensiate che io voglia con ciò difendere la mia persona. So quel che valgo! Sono assai povero ed assai indegno del carattere episcopale che mi riveste e dall’altissimo ministero che mi è stato confidato. Ma son Vescovo! E se disprezzare in me il Vescovo sarebbe , senza meno, empietà.

Padre nostro è il Papa, e padre tenerissimo che vive di preoccupazioni e di pianto per guidarci a salvezza e per custodirci dai nemici – quanti nemici! –  che l’errore e col vizio tentano di trascinarci dall’ovile di Gesù Cristo.

E noi figli del Papa che ne ascoltiamo la voce e in ogni occasione gli protestiamo obbedienza e rispetto, ci lascerem trascinare dalla foga dei partiti per amareggiargli il cuore e spremergli dagli occhi nuove lacrime, dandovi nuovi dolori? Ma non sappiamo noi che per letiziare la Chiesa, nostra madre, bisogna obbedire al Papa, che è nostro padre: qui oboedit patrem, refrigerabit m<atrem. (Eccl, III. 7)?

Fratelli e figliuoli amatissimi, se vi ho parlato delle elezioni politiche, dopo di avervi parlato del Congresso Eucaristico, in questa mia lettera pastorale, non l’ho fatto senza riflessione. Egli è per dirvi: Gesù Cristo come è fondamento della nostra fede, così ha da esserlo la nostra vita. Chi vive di fede, e questa fede alimenta con l’Ostia di Gesù, non dimentica alcuno dei suoi doveri, anche nelle contingenze più difficili della vita privata e della pubblica.

E noi li abbiam forse dimenticato! Ebbene ritempriamola la nostra fede ai piedi di Gesù, e ricordiamoci che se il giusto vive di fede, ciò vuol dire che la vita del giusto deve essere e deve rivelarsi sempre ispirata e sostenuta dalla fede dalla fede medesima, deve essere e deve rivelarsi sempre ispirata e sostenuta dalla fede medesima.

Giovanni Battista Arista Vescovo +

Memorie e Rendiconti in mons. Arista, le “politiche” del 1913, i circoli, ad Acireale.

 

 

 

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