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Piccola storia di Jaci – “Parliamone bene”di Augusto Ajon, 1970

Una nostra lettrice ci ha esortato a parlar bene sempre di Acireale. E subito ci è sovvenuta una pagina di Vitaliano Brancati. Eccola: Se parlo tanto spesso dei Siciliani vuol dire unicamente che essi sono per me il migliore argomento; e se ne  parlo con tono scherzoso, vuol dire che l’affetto, che mi lega ad essi, è tale che io  devo difendere la mia serietà con lo scherzo, Difatti se nel parlar di loro non mi appigliassi in fretta e furia ai loro difetti, difficilmente riuscirei a sostenermi: i  miei occhi si riempirebbero di lacrime, e le  immagini di una emozione tutta meridionale affollerebbero il mio discorso , il quale andrebbe lentamente a fondo come una barca troppo carica. E’ buon consiglio quando si è innamorati, guardare  l’ombra che fa il naso di lei sulla guancia destra o sinistra, e  la piccola  cicatrice che  un antico foruncolo ha lasciato sul suo collo perfetto: solo in questo modo, i sentimenti scendono a un grado sopportabile. Io non dirò che sono innamorato del  popolo siciliano, ma ne sono senz’alcun dubbio amico, parente e ammiratore in tale misura che, per abbassare questi sentimenti a un grado decoroso, devo continuamente guardare al vestito nero, al passo e strascicato, ai fiori dell’occhiello, ai grossi parapioggia, insomma a tutti i loro piccoli difetti che anch’essi, fra l’altro, mi diventavano amabili tra le mani.  Parafrasiamo. Il parlar bene di Acireale, gentile lettrice, è come parlar bene della Sicilia e dei siciliani ( dei quali ultimi trattiamo spesso). E il parlarne bene quando invece è necessario – o almeno si ritiene necessario – il parlarne male non ci lascerebbe tranquilli. Perchè in tal caso sarebbe anzitutto ipocrisia, e quindi un tradimento verso chi si affida al nostro discorso. E poi a noi piace occuparci dei grossi difetti, che decisamente non amiamo, mentre quelli piccoli possono anche apparire addirittura “amabili”. L’essenziale è che si parli in buona fede (il che spesso non avviene). D’altra parte noi crediamo nella libertà; e crediamo pure nella democrazia – quella sostanziale – , che è una forma della libertà. Noi crediamo perciò negli uomini liberi – ce ne sono anche ad Acireale – e in coloro che hanno il gusto di sentircisi. Forse si tratta d’un dono, di un grande dono. Beato chi ce l’ha! Parlar bene a tutti i costi non conviene dunque a nessuno. Chi ama la Sicilia, chi ama la propria terra, pensi a individuarne gli aspetti peggiori, e poi disquisisca sulle buone qualità, se ci sono. L’ironia: è scarsamente usata per trattare i poderosi problemi della nostra vita politica. I siciliani , gli uomini politici siciliani, si contorcono, non sempre sorridendo, quando ne sono oggetto. E’ pur vero che il male di non sopportare l’ironia non è vecchio in Italia (è ancora il Brancati). Ma ci si dovrebbero assuefare – quando si tratta, appunto, di ironia, e non di dileggio o , peggio, di libello – perchè questa è una maniera di argomentare profondamente civile.

Augusto Ajon – La voce dell’Jonio del 29 novembre 1970

foto dal volume “il permesso di dire”

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