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Piccola storia di Jaci – Pesi e misure borboniche

Il Cav. Raffaele Di Maria nel suo secondo libro di memorie “Acqua passata non macina più” dedica uno spazio all’abitudine degli acesi, dopo l’unità d’Italia, a utilizzare ancora il sistema di pesi e misure borbonico. Ancora oggi, per la verità, qualche riminiscenza negli anziani ancora c’è.

Con L’unione della Sicilia all’Italia cessò il governo borbonico ma la maggior parte della popolazione, negli scambi continuò per molti anni ad usare le unità di misura borboniche, e cioè:  once, tatì e grana per le monete; palmo per i panni, cantaro di rotoli 100 per i pesi; salma di tomoli per le superficie ecc.ecc. In una vecchia guida dell’Italia del 1858, ma con dati riferentisi a parecchi anni prima, leggo che nel regno delle Due Sicilie per le monete c’era differenza da una città all’altra e che il grana (cent. 4) era la piu antivca delle monete. Non sono riuscito ad accertare se il “sanari” (cent. 2)fosse la denominazione acese del tornese borbonico (cent. 2), oppure della equivalente moneta italiana. Quante volte ragazzo sentivo dire: “cci purtau cent’unzi di dote”; “sta roba costa du tarì (cent. it 85)”; un proverbio dell’epoca diceva “meghiu n’diavulu cent’unzi ca sceccu du ‘rana”. Più duri a cessare nell’uso furono il “rotolo” (gr. 800), il “quattruni” (gr. 200) e il “menzu quarto” (gr. 100) che io dovevo indicare nelle compere della pasta e del formaggio fino a quando non emigrai da Acireale.

Raffaele Di Maria – Acqua passata non macina più – Acireale 1981

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