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Senza indirizzo né francobollo- il racconto di Carla Oliva

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Senza indirizzo né francobollo

Ci sono giorni in cui – giorni insoliti – la spessa coltre di nebbia, che di solito regna sovrana in quel piccolo paesino di montagna laggiù, si affievolisce all’improvviso, per lasciare spazio al sole che sorge più prepotente.

Il paese si risveglia lentamente e sbadigliando, con la sua pigrizia tipica mentre qualcuno fischia annoiato passeggiando per le strade che, nonostante il sole, restano comunque gelide. C’è noia nell’aria, mischiata forse anche a un po’ di rassegnatezza, mentre alcune saracinesche si sollevano esili, e l’odore di pane invade la piazza. I bambini escono a giocare solo nel pomeriggio, perché la mattina sono impegnati nelle scuole ad ascoltare cose che domani dimenticheranno; negli uffici c’è qualcuno che prende il caffè con quell’aria stanca che vedi un po’ ovunque, e le borse sotto gli occhi perché la sveglia, quest’oggi, ha trillato troppo inaspettatamente.

In una delle tante stradine di pietra che s’intrecciano all’interno del paesino, nella zona più esterna, dove ci sono poche case abbandonate e forse una stalla con degli animali, c’è una cassetta della posta, rettangolare e di un rosso sbiadito, quasi nascosta dall’edera che le cresce intorno e dalla ruggine.

A vederla così, passeggiando per caso per la strada, la buca sembra abbandonata, quasi gettata lì per caso; uno si chiede per quale motivo non venga rimossa da qualcuno, visto che è tanto inutile e irrilevante. I postini del paese hanno smesso di venire a controllare, perché chi mai ci verrebbe fino a qui per spedire una lettera? È più facile arrivare in centro, più comodo.

Quello che nessuno sa, invece, è che quella cassetta brutta e arrugginita, dimenticata da tutti, è in realtà la più colma di lettere del posto; peccato che non se ne sia accorto nessuno (ancora).

Le lettere, quelle sono vecchie anche loro: brutte, ingiallite, talvolta stracciate dal tempo e dall’incuria, dalle attese infinite di mittenti mai accontentati.

Non c’è giustizia, è questo che gridano le lettere sul fondo, schiacciate dal peso immenso di tutte quelle parole bloccate: non c’è giustizia e forse non c’è neanche speranza, si consolano che tanto sono tutte insieme e quindi mal comune, mezzo gaudio.

La cosa che sorprende di più, ma sul serio, è che nessuno controlli. Nessuno, di tanto in tanto, si avvicina e si sporge in avanti, infilando lo sguardo nella buca, per scoprire se davvero è dimenticata come si dice; nessun postino fa una deviazione con la sua bicicletta, durante i turni di lavoro, per accertarsi di non star dimenticando niente; e nessuno – ma proprio nessuno! – si è fin’ora accorto (o finge) dei passi timidi che qualche volta riempiono la strada stretta, del guardarsi bene intorno prima di abbandonare la lettera nella buca e dello scappare via il più presto possibile.

Strano perché, a essere precisi, questo accade spesso, specie ultimamente. A volte è qualche bambino dalle dita colorate, altre una donna frettolosa o qualche ragazzo curioso, che imbucano le loro parole e scappano via.

Le ultime lettere, quelle in superficie, mancano di mittente, e anche di destinatario.

È un po’ come se l’intero paese avesse accettato la condizione di abbandono della piccola cassetta, e deciso di usufruirne comunque, di spedire i propri pensieri al nulla.

La cassetta della posta, piccola e arrugginita, stracolma di buste senza indirizzo né francobollo, ora parla: se, passandoci accanto, ti capita di accostarvi un orecchio, avverti risuonare tutte le domande spezzate, le scuse che muoiono in gola e i complimenti che fanno arrossire, senti le urla di chi sussurra troppo piano e le parole dolci di chi ha la corazza impenetrabile. Ci sono le cose non dette e quelle che è inutile dire adesso, ch e tanto è troppo tardi.

E, se dobbiamo dirla tutta, la piccola cassetta della posta sconosciuta e dimenticata, in realtà contiene le parole di tutti.

Tu al nulla cosa hai scritto?

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