martedì, Aprile 23, 2024
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Tomasi di Lampedusa oggi abitava ad Acireale

Pochi minuti dopo quel che rimaneva di Bendicò venne buttato in un angolo del cortile che l’immondezzaio visitava ogni giorno: durante il volo giù dalla finestra la sua forma si ricompose un istante: si sarebbe potuto vedere danzare nell’aria un quadrupede dai lunghi baffi e l’anteriore destro alzato sembrava imprecare. Poi tutto trovò pace in un mucchietto di polvere livida. ( da “Il Gattopardo”)

Stasera abbiamo potuto apprezzare una dotta e appassionata conversazione su Giuseppe Tomasi di Lampedusa e la sua più conosciuta ed immortale opera “Il Gattopardo”.

Protagoniste la professoressa Maria Antonietta Ferraloro, studiosa di Tomasi di Lampedusa e autrice di saggi sull’autore siciliano e la professoressa Annamaria Zizza docente al Liceo Classico Gulli e Pennisi.

Per chi, come me, ama Tomasi di Lampedusa ed Il Gattopardo è stata una serata splendida.

E’ stato messo in evidenza il “sabotaggio” dei letterati contemporanei a Giuseppe Tomasi di Lampedusa, che non ne apprezzarono l’opera ed addirittura ostacolandone la pubblicazione che poi fu postuma.

Il tema della morte, filo conduttore del capolavoro letterario è stato l’argomento più approfondito.
La professoressa Ferraloro, grazie alle sue ricerche, ha rivelato che l’immagine del soldato borbonico che era venuto a morire, solo, sotto un albero di limone nel giardino profumato di Villa Salina, l’autore la rammentava da Ficarra, paese dei Nebrodi, durante la seconda guerra mondiale: quella di un soldato tedesco ucciso.

Saremmo stati ad ascoltare ore ed ore, la sala gremita ed attenta in un sabato sera fa capire la qualità dell’argomento e di chi lo trattava.
“Le giornate della Cultura” ad Acireale fanno grande richiamo: che sia una nuova primavera culturale acese?

Noi fummo i Gattopardi, i Leoni: chi ci sostituirà saranno gli sciacalletti, le iene; e tutti quanti, gattopardi, sciacalli e pecore, continueremo a crederci il sale della terra.

(santodimauro)

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P.S.
Aggiungo una nota di Maria Pia Basso sull’argomento.
Eravamo entrambi appassionati spettatori ad uno dei più bei omaggi a Giuseppe Tomasi di Lampedusa che ci sia stato ad Acireale.

“Nell’opera ognuno troverà cio che ha bisogno di vedere” (Maria Antonietta Ferraloro)

Tomasi di Lampedusa prende per mano Maria Antonietta Ferraloro e lei conduce il lettore lungo un sentiero, ai più sconosciuto e a tratti impervio, in cui respirare l’aria di un tempo da gustare a piccoli bocconi.
Un itinerario dal quale emerge un cicerone impegnato e appassionato che compie uno sforzo non indifferente per far affiorare una personalità schiva e discreta, lontana dal brusio sociale e avvinta a una solitudine confortante che riempie le giornate e affolla la mente di pensieri e creatività.
Uno scrittore in fuga da Palermo che trova accoglienza a Ficarra, sui Nebrodi, in un paese atterrito dalle bombe e dalla sopraffazione, dalla guerra e dal terrore.
Tre mesi che “sono stati sistematicamente ignorati o trattati con sufficienza dagli studiosi ” su cui l’autrice si propone di indagare, e lo fa.
Con lo stile e lo stupore che conduce il romanziere Mario Vargas Llosa a introdurre il termine “archeologi letterari”, che la Ferraloro designa come coloro che tentano di “ricostruire la preistoria tematica e stilistica di un’opera, per aiutarci a comprenderla meglio”, pur nella consapevolezza che “nessuna ricognizione attorno a un’opera potrà mai svelare l’insondabile mistero dell’arte “.
Così la scrittrice non compie piroette letterarie per convincerci delle sue ricerche, ma vuole affiancarci per donare la sua presenza affinché possiamo provare quei brividi che certamente l’avranno scossa mentre si addentrava negli anfratti emozionali di un uomo, della sua vita, della sua interiorità che appare combattuta, della sua solitudine che mai verrà davvero scalzata, rappresentando la costante di un’esistenza condotta tra tumulti interiori e tentativi di boicottaggio degli stessi. Discese e risalite seguendo percorsi sofferenti in cui il dolore sembra essere compagno fedele e “l’arte della fuga un’inclinazione naturale ” che conduce non soltanto al “volontario allontanamento dal consesso umano”, ma al compimento di quegli atti reali che si concretizzano in partenze fisiche.
E il “viaggiatore Mostro ” si muove su un terreno accidentato in cui si ritrova fragile e disilluso, ma “intimamente convinto di appartenere a una genia di uomini che l’aristocrazia dello spirito, prima ancora che quella del sangue, rende geneticamente diversi “.
Un testo da cui emergono rispetto e senso del dovere, appartenenti all’autrice come appendice della sua vita in cui le auguro di ottenere i riconoscimenti che merita per l’ impegno profuso senza riserve e donato con la semplicità estrema che connota la sua brillante personalità.

(Maria Pia Basso)

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