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Beni sequestrati e confiscati alla mafia, una questione irrisolta.

Le aziende sequestrate e confiscate.

In Sicilia, secondo i dati pubblicati nella relazione della commissione antimafia della regione Siciliana, solo 39 aziende sequestrate sono 780. E’ un primo dato che deve farci capire cosa avviene dal momento del sequestro al ritorno in vita delle aziende che sono state in mano, anche e soprattutto in termine di amministrazione, a soggetti mafiosi.

A questi dati così sconfortanti fornisce una spiegazione il dott. Corda (direttore dell’ANBSC). Afferma Corda: “… noi ci troviamo davanti a quella che viene definita una scatola vuota… cioè un’azienda che ha a malapena una sede, per non dire che ha soltanto un indirizzo…”. Quelle che indica il direttore Corda sono quelle che vengono definite le “aziende cartiere”, ovvero aziende che non sono di fatto sul mercato, “semplicemente iscritte alla camera di commercio ma totalmente prive di personale”. Di fatto non ci si trova a dover gestire aziende sequestrate produttive ma costituite solo per la “falsa fatturazione” e il riciclaggio. Appare evidente che la gestione di queste “scatole vuote” non produce nulla se non fascicoli di carte che si affastellano sulle varie scrivanie.

Va anche detto che le aziende produttive sequestrate alla mafia dovranno essere gestite dentro i termini di legge ma che, invece, con la gestione mafiosa le stesse potevano riuscire ad essere competitive sul mercato (avviamento mafioso) grazie alle dinamiche di illegalità con cui erano gestite. Ed è altrettanto evidente che gestire un’azienda nel rispetto delle norme è certamente una pratica sana ma più onerosa rispetto alla gestione mafiosa che trova tutte le strade per sfuggire alle regole. Inoltre le aziende sequestrate alla mafia che provano a rientrare nella legalità produttiva trovano grandi difficoltà a trovare nelle banche dei partner disponibili ad aprire loro una linea di credito indispensabile alla ripartenza nella legalità. Paradossalmente un bene sequestrato alla mafia trova maggiore diffidenza da parte delle banche.

I Beni immobili confiscati.

I beni immobili confiscati e passati alla disponibilità delle amministrazioni locali sono solo 130 di cui 31 sono terreni, solo 58 sono stati destinati ma non ancora consegnati.

Anche in questo caso, come per le aziende, tante cose non vanno per la giusta direzione e le pratiche si arenano prima di poter destinare il bene alle associazioni che ne farebbero richiesta per utilizzarlo ai fini sociali.

Capita non di rado che i beni immobili sequestrati sono fisicamente occupati dai soggetti che hanno subito il sequestro e la confisca. Si affianca a questa anomalia anche il fatto che i Comuni non hanno ancora un regolamento unico ma, possiamo dire, che ogni Comune ne adotta uno proprio. Va anche detto che si rende necessario anche che le singole amministrazioni comunali si attivano, come afferma il Prefetto di Catania Sammartino per il “monitoraggio puntuale dei beni assegnati…”. Una questione complessa per cui sembra che le “occupazioni abusive” di beni immobili sequestrati è sottoposta a verifica con la collaborazione dei “nuclei di supporto”. Si rende quindi indispensabile il potenziamento dei nuclei di supporto affinché ogni bene sequestrato possa essere monitorato frequentemente evitando così occupazione abusive che durano anni e di cui nessuno sembra interessarsene.

Necessario ricordare, secondo la relazione della commissione regionale antimafia, che il Consorzio Etneo per la legalità e lo sviluppo, secondo quanto afferma il prefetto di Catania Sammartino “… dal 2012 non aveva operato alcun ulteriore conferimento dei beni”. Si deve anche aggiungere che secondo Bongiorno (segretario del Consorzio) “Il Consorzio aveva cercato di presentare delle proposte progettuali e l’Agenzia nazionale e il Ministero hanno comunicato che i Consorzi non erano soggetti deputati a presentare delle proposte progettuali…”.

Intanto, però, sono anni che l’ASAEC chiede che i bene confiscati alla mafia siano messi a bando per poi affidare gli stessi alle associazioni. Mentre passano gli anni, ovviamente, i beni si deteriorano, perdono valore e per rimetterli in sesto si rendono necessarie risorse importanti. I beni dalla possibilità di divenire bene pubblico si trasformano in un costo per la collettività.

In sintesi ecco cosa succede quando un bene immobile viene confiscato. Prima la confisca, poi l’Agenzia lo assegna all’amministrazione locale (Comuni), ci si accorge anche dopo anni che l’immobile è sempre stato occupato dal soggetto che ha subito la confisca e tutto si ferma. La procedura vorrebbe che i sindaci che si trovano di fronte ad una situazione di occupazione del bene confiscato devono chiamare il Prefetto che dovrà far intervenire le forze di polizia “chiunque sia l’occupante”. Capita anche che un bene confiscato sia in comproprietà con altri soggetti, in questo caso sarebbe stato possibile “garantire al ricorrente la disponibilità della propria quota di proprietà eventualmente anche attraverso il recupero del valore economico della stessa”.

Appare evidente che le questioni ancora irrisolte in riferimento alle norme che regolano la confisca ed il sequestro dei beni alla criminalità organizzata sono ancora tante ma il dato più inquietante è pensare come in Italia anche una buona legge può arenarsi tra le carte e le inefficienze.

(Fonte “Inchiesta sui beni sequestrati e confiscati in Sicilia. A cura della Commissione Regionale Antimafia.

«Quello che faccio, lo faccio per mio figlio e per le generazioni future, che non devono essere soffocate dalla cultura mafiosa» (Pio La Torre)

(mAd) Nella foto Pio La Torre (segretario regionale del Pci) assassinato dalla mafia il 30 aprile 1982.

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