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Bill Evans trio – “Waltz for Debby”.

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Pare che la Debby del titolo fosse la figlia del fratello di Bill Evans. Una curiosità che potrebbe spiegare più di mille parole quelle mezze luci toccanti e lineari che si ascoltano nella title-track. Anche se poi si tratta di estetica generale più che di un episodio isolato, dal momento che tutto il jazz di Evans – e soprattutto quello del trio formato dal padrone di casa, Scott La Faro e Paul Motian – rimarrà quasi sempre affezionato a quella riflessività colta e terribilmente bianca che si ascolta in Waltz For Debby. Merito di Lennie Tristano ma anche di Horace Silver, autori che il Nostro studia a fondo e con costanza. Ma merito anche di una preparazione accademica stimolata da un ambiente fondamentalmente borghese – il padre del pianista gestisce un golf club – equamente suddivisa tra flauto, violino e pianoforte.
Raffinatezza e aristocrazia: sei brani nella tracklist originale dell’LP, dieci nell’edizione in CD. Tutti tratti dalle sessions registrate dal vivo il 25 giugno 1961 al Village Vanguard di New York e raccolte, oltre che nel qui presente disco, anche sul precedente e omonimo live. Come dire che il momento è propizio e la casualità non c’entra nulla, in un mood che vive di interplay impeccabile tra gli strumenti, forti analogie caratteriali, misura e ruoli paritari. In primis tra il contrabbasso à la Mingus di Scott La Faro e il pianoforte di Evans, persi in un rimpiattino che vive di ampie armonie e crescendo, assoli e momenti di quiete. Come dimostra anche un’introduttiva My Foolish Heart da cui non ti stupiresti di veder uscire un Humphrey Bogart nei panni di Sam Spade. Tanto che sulle note di copertina spunta – non a torto – il paragone con il Modern Jazz Quartet, altra formazione che come il trio di Evans “avrebbe potuto suonare tutta la notte senza che un avventore ubriaco si accorgesse di aver ascoltato niente di più di certa tranquilla e piacevole cocktail music”.
Gli unici due brani scritti dal titolare sono la title track e Detour Ahead – due versioni di ognuno sul CD -, episodi da cui emergono i caratteri fondanti della poetica di Evans: pulizia formale, cascate di note, alternanze puntuali, chiuse di classe. In un jazz che abbraccia la musica colta – Chopin (?) – prima del be bop e che nel medesimo istante mostra un’indipendenza notevole dagli stili più in voga all’epoca. A dare spazio all’Evans meno sentimentale e più irrequieto pensa la Milestones del Davis con cui il nostro aveva già collaborato per il fondamentale Kind Of Blue, mentre Some Other Time e My Romance ribadiscono in un tripudio di spazzole la statura del pianista quando si tratta di scattare soggettive sfocate e creare conturbanti immaginari.
A riprova che la vita reale è spesso ben più cinica e turbolenta dell’arte, Scott La Faro morirà l’anno di pubblicazione di Waltz For Debby, la musa ispiratrice omaggiata dalla title-track si toglierà la vita nel 1979 e Bill Evans lascerà questo mondo nel 1980, dopo un’esistenza costellata da numerosi problemi familiari e personali.
(Fabrizio Zampighi per sentireascoltare.com)

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