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COSA NOSTRA COMANDA (sta minchia)

Leggendo le 370 pagine dell’ordinanza “Aquilia” che due giorni fa ha inflitto un duro colpo alla derivazione acese del clan santapaola/ercolano, si ripercorre la storia della mafia acese degli ultimi 30 anni, una mafia “laterale” a cui i catanesi lasciano le briciole degli affari importanti che si svolgevano in provincia, ma sempre attiva nei settori redditizi e parassitari dell’estorsione aggravata dal metodo mafioso.

Quello che, purtroppo, si verifica in situazioni simili è l’assoluta mancanza di collaborazione delle vittime di estorsione, commercianti, imprenditori, professori universitari, farmacisti, ecc. uno spaccato della società civile di una provincia attiva ma un po’ assonnata, in cui il “pizzo” si eredità da padre in figlio come le case di campagna e l’esperienza professionale.

Molti dei commercianti sentiti a riscontro delle dichiarazioni dei pentiti che hanno determinato con le loro dichiarazioni il successo dell’operazione stessa, hanno negato qualunque coinvolgimento salvo poi ritrattare davanti alla lettura delle dichiarazioni che li chiamavano in causa, in alcuni casi gli stessi imprenditori hanno accettato di collaborare solo dopo la “minaccia” degli inquirenti di denunciarli per favoreggiamento .
Il pizzo era spesso ereditato da generazioni ed in molti casi erano le vittime a portare direttamente a casa degli estortori le somme per gli “amici”,il regalo per Pasqua e Natale che foraggiava il mantenimento dei detenuti, a volte le estorsioni si bloccavano per l’arresto dei mafiosi ed il denaro veniva accantonato in attesa del ritorno a casa del mafioso.

Le dichiarazioni dei pentiti parlano di rapporti di amicizia con le vittime, di consuetudini da ottemperare periodicamente nella certezza di stare adempiendo ad uno dei tanti balzelli che un’attività commerciale deve predisporre per la propria esistenza, un po’ come le tasse comunali che tutti siamo costretti a pagare per le nostre aziende, l’inizio delle estorsioni si perde nella memoria delle vittime sconfinando in anni lontani e nel ricordo dei parenti che pagavano da decenni.

Il profilo delle vittime è rappresentativo della società civile ed immune al grado di istruzione alle competenze ed alle professionalità, si va dai piccoli commercianti ai professori universitari, tutti accomunati dalla certezza che “ è sempre stato così” a testimonianza di un’ineluttabilità che accomuna le storie di pizzo in tutta Italia. Non mancano le proteste per eventuali rapine subite nonostante le vittime pagassero il pizzo con regolarità, rimostranze che venivano poi girate agli stessi estortori che, con imbarazzo, assicuravano che avrebbero fatto il possibile per garantire “l’immunità” dalla delinquenza comune, la stessa delinquenza minore che prima di andare a rapinare qualcuno, doveva informarsi su quali esercizi commerciali erano “apposto” e quali no prima di poterli rapinare.

Un mondo alla rovescia, in cui cittadini onesti preferiscono affidarsi alla mafia piuttosto che alle forze dell’ordine per garantire quei diritti di protezione che la Costituzione assicura loro, ma che evidentemente, la mafia riusciva a tutelare con maggiore certezza.

Non è difficile comprendere il punto di vista delle vittime che temevano ritorsioni per le loro aziende, ma è inconcepibile la totale sfiducia che le stesse nutrivano per lo Stato che avrebbe dovuto tutelarle.

Oggi nonostante le rassicurazioni dei politici vecchi e nuovi, scopriamo che la mafia ad Acireale esiste e opera in un clima di omertà e connivenza, e la scritta che appariva sui muri del centro storico fino a qualche giorno fa, risulta più chiara ed esplicita, “cosa nostra comanda” un monito a cui una mano ignota ma quasi profetica ha aggiunto una frase scurrile: “sta minchia” , a testimoniare che comunque una speranza esiste ed è dentro ognuno di noi.

(Fabio D’Agata)

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