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Di impegno, memoria e professionisti dell’“ah però”

Una mattina di parecchi anni fa piantammo un albero. Eravamo tanti: io, i miei compagni di classe, i ragazzini delle altre classi. E la scuola media aveva il suo albero per commemorare il giudice ammazzato dalla mafia.

Qualche anno fa sono tornato in quella scuola per tenere un po’ di lezioni di giornalismo, e l’albero era ancora là: ho portato i ragazzi fuori e abbiamo parlato di mafia e di uomini uccisi mentre difendevano i principi di verità e giustizia.

Le targhe, le piazze, le strade hanno un senso al di là della toponomastica. E il senso lo diamo noi: lo diamo parlando della gente o dei fatti che troviamo scritti per indicarle, commemorandoli, scegliendole per il valore simbolico nel caso di appuntamenti importanti o quant’altro.

Ad Acireale il 3 marzo verrà intitolato uno spazio ad una vittima della mafia che è diventato simbolo di lotta alla mafia stessa: Peppino Impastato. La città dà un altro spazio all’antimafia, e lo fa organizzando una festa e cercando di coinvolgere quanta più gente possibile.

In tanti hanno lavorato per questo obiettivo, e nessuno lo ha fatto per un tornaconto, per mostrarsi primadonna, per accaparrarsi la paternità dell’idea (se c’è chi lo fa mi permetto di dire che commette un errore di non poco conto). Tutti lo hanno fatto con l’intento di coltivare la memoria, e in questo senso lo sforzo di coordinare e coinvolgere le scuole, che hanno lavorato e mostreranno i loro lavori, sarà la ricompensa più importante. È soprattutto nei giovani che va coltivata la memoria, e i giovani saranno lì.

Se questa fosse la cornice, e il quadro fosse il 3 marzo, sarebbe tutto perfetto. Ma così non è. Perché in mezzo ci stanno i professionisti dell’“ah, però”, quelli che lontano dalla storia che ha portato al risultato, lontani dalle persone che hanno lavorato, devono muovere una critica. È più forte di loro, devono farlo al di là di una ragionata riflessione che probabilmente li porterebbe a un confronto privato e ad ottenere le risposte che cercano al di là dei social (dove le critiche, è inevitabile, hanno solo una funzione di inquinamento, aggredendo il morale di chi ha lavorato e offuscando la luce dell’evento). Passino quelli che sono particolarmente affezionati alla toponomastica e hanno da ridire sulle nuove intitolazioni (credo siano sempre presenti, per qualsiasi tipo di intitolazione: fanno parte del copione), ma quelli che devono spostare l’asse dal versante sociale a quello politico sono davvero dannosi. Così come quelli che sentono il bisogno di dire che tanto la mafia esiste lo stesso, o che in città c’è la mafia, o che le istituzioni che saranno lì presenti non devono salire sul palco (non dicono che a modo loro di vedere sono persone che hanno a che fare col malaffare, o che per precisi motivi non devono essere presenti in manifestazioni che parlano di antimafia, dicono solo che non ci devono stare). Se c’è chi pensa che il sindaco sia colluso col malaffare, o sia lui stesso il malaffare, e lo pensa perché sa che è così, allora quel giorno venga e lo dica pubblicamente: quel luogo è il luogo ideale. Se non potrà esserci, allora mandi qualcuno, o si faccia promotore di questo pensiero e faccia in modo che quel giorno venga reso palese. Perché quel luogo è il luogo giusto. Se pensa che lì ci sarà gente collusa col malaffare che vorrà usare quel luogo come vetrina, faccia altrettanto: perché quel luogo è il luogo giusto. Ma lo faccia con cognizione di causa, al di là delle antipatie personali.

Quel giorno ci saranno Riccardo Orioles e Claudio Fava, che hanno accettato subito l’invito ad essere presenti:  sono stati informati sullo svolgimento della giornata e hanno seguito – per quel che hanno potuto – l’iter dei lavori, confermando la loro presenza. Loro di antimafia ne sanno parecchio, e non hanno aggiunto parole al coro di “ah, però”. Perché – immagino – sanno che l’intento della memoria va ben al di là delle presunzioni.

Io provo fastidio, perché mi metto nei panni di chi con me ha lavorato credendoci: Francesco, Peppe, Salvo, Mariella, Saro… A loro dicono “ah però” dopo che – mi si passi l’espressione – si sono fatti il culo, e loro si scoraggiano. E io mi incazzo. Perché non è giusto: l’obiettivo sono i ragazzi, la memoria, la città che ha un luogo sul quale (senza ombra di dubbio) bisognerà lavorare, perché non ci si può fermare all’intitolazione (e di questo fra noi se ne è parlato, a discapito di chi dice che tanto finisce là).

Chi pensa che è solo una targa, chi dice “divertitevi alla vostra festa” (ho letto cose così, e mi hanno fatto male), dovrebbe riflettere sul contributo reale che riesce a dare.

Non voglio male nessuno, davvero, perché so che in fondo, nelle pieghe dell’anima, tutti coviamo lo stesso intento. Ma a volte proprio non riesco a capire, e allora mi incazzo e scrivo di getto.

Sappiamo tutti che la mafia è una montagna di merda, e adesso possiamo indicare un nuovo luogo per riunirci in tanti e urlarlo. Facciamolo, e al diavolo le dietrologie.

(Seba Ambra)

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