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Dieci anni fa, in una anonima stanza del residence Le Rose di Rimini moriva Marco Pantani

 

marco-pantani-Dieci anni fa, in una anonima stanza del residence Le Rose di Rimini moriva Marco Pantani. La notte di San Valentino del 2004 l’indiscusso e chiacchierato grande scalatore chiudeva la sua complicata esistenza in modo tragico, stroncato da una overdose di cocaina. Il rifugio nella droga fu da tutti banalmente liquidato come il gesto di un uomo estremamente debole che era stato schiacciato da una vicenda molto più grande di lui. E’ proprio su questo particolare aspetto che mi voglio soffermare. Lo voglio fare perché il mio pensiero è radicalmente diverso da come il luogo comune ha frettolosamente etichettato il romagnolo.
Per Marco il 5 giugno del ‘99 fu una macchia così ingombrante che egli fin da subito cercò di affrontare il problema in modo diverso da come avevano fatto e avrebbero continuato a fare, tutti coloro che si sono trovati in condizioni simili. Egli comprese immediatamente che una figura come la sua, che godeva di una popolarità immensa, non poteva scappare via dal problema con ridicole dichiarazioni di innocenza oppure con scuse da bambini delle elementari. Egli, invece, cercò di afferrare il toro per le corna. Per esempio, lo fece con le immediate dichiarazioni rilasciate a Mannoni, apparse ai più deliranti, invece alcune lucide e significative. Fra le tante cito quella indirizzata all’allora presidente della federazione …“ ci vada lui a correre contro Jalabert”. E poi sempre qualche anno dopo in una intervista rilasciata a Sport Stream , dove parlò a lungo del movente che portava i ciclisti ad aiutarsi farmalogicamente , aggiungendo , inoltre, …”non mi sorprenderei se domani saltasse fuori che i valori del sangue dell’americano fossero tutti alterati”.
I due a cui faceva preciso riferimento, Jalabert ed Armstrong, erano al momento assolutamente al di fuori di ogni sospetto. La seconda dichiarazione gli fece addirittura guadagnare un paragone con Ceausescu (rif. Trifari sulla Gazzetta dello Sport). In questo caso, quanto affermava era, a dire del cronista, il frutto del delirio di chi si crede onnipotente ed invece è costretto incredulo ad assistere alla sua caduta dall’Olimpo. Ciò lo portava a sparare all’impazzata secondo il principio di “muoia Sansone e tutti i Filisdei”. Un giudizio implacabile, non c’e’ che dire!
Ma, il tempo si sa a volte è galantuomo, mai esempio è stato così calzante come in ambedue le occasioni. Ja Ja è stato da poco inghiottito dal vortice della lista Tour ’98, rimettendoci il posto di ct francese, mentre su Lance è inutile aggiungere altro.
Tornando indietro alla sciagurata scelta di Pantani di rifugiarsi nella cocaina, io penso che contribuì in modo decisivo la sua rabbia nel vedere tutta l’ipocrisia da cui era assediato. L’incapacità, o forse meglio la mancanza di volontà di tutti, di voler prendere atto degli effettivi contorni di un fenomeno di larghissima diffusione. L’immensa delusione, nel comprendere che i suoi “segnali” avevano come unico effetto l’apertura di altre indagini a suo carico oppure critiche feroci da parte dei media, fece precipitare Marco sempre di più in un baratro senza fondo. In conclusione possiamo dire che Marco finì per essere infilzato dalle corna del toro. Resta, però, il fatto che, malgrado la posizione assunta lo vide perdente in quel preciso momento storico , la sua non era certo quella di un uomo debole. Tutt’altro.
Anni fa scrissi, ad un noto giornalista sportivo, che mi sarei sempre battuto per una completa riabilitazione di Pantani come sportivo. Ancora, a tanti anni di distanza, l’ombra che proietta il 5 giugno sulla carriera del romagnolo mi infastidisce non poco. Cosa ha in comune con le steli sul Mortirolo e sul Galibier, con le scritte sulle strade del Giro, con l’immensa folla che ancora oggi lo acclama? Cosa ha in comune con il mito di Pantani? Niente. Anzi sono delle cose nettamente in antitesi: o l’una o le altre.
Concludo con una riflessione personale, direi un auspicio. In questi anni tante cose sono venute alla luce, guarda caso tutte in una direzione, quella indicata da Marco. Son sicuro che altri fatti ancora emergeranno ed io spero che ancora una volta il tempo sia galantuomo ed indichi a tutti una diversa angolatura dalla quale guardare la complicata tematica di cui stiamo parlando. Ciò cancellerebbe definitivamente quella macchia. Sono conscio che quanto sostengo strida, e non poco, con il concetto di moralità da sempre legato allo sport, ma, non riesco a vedere altra lineare via d’uscita da questa triste storia.
Un atto dovuto.

 

Pantani, il 5 giugno ed una verità processuale.

La vicenda della riapertura delle indagini sulla morte di Pantani che, da un paio di mesi, ha riportato prepotentemente la figura dello sfortunato romagnolo all’attenzione del grande pubblico, mi da lo spunto per l’ennesima puntualizzazione di quella che è la mia personale posizione sull’affaire “Pantani”. Premetto che vi sono diverse angolazioni dalle quali si possono valutare le eventuali novità emerse. La prima, la più legittima, è quella che vuole che la giustizia individui eventuali responsabili diretti della morte del romagnolo. Essa potrebbe finalmente dare un po’ di serenità ad i suoi ed a quanti lo hanno conosciuto direttamente. Quest’ottica mi trova assolutamente d’accordo, se può servire non una ma cento riaperture. In questo come in tanti altri casi.
Poi, ve ne è almeno un’altra, più romantica, quella che è indissolubilmente alle emozioni che Marco è riuscito a trasmettere a tutti i suoi irriducibili sostenitori. Qui ho l’impressione si stia cercando di seguire una strada confusa e complicata. Difficile, se non impossibile, cancellare le ombre del 5 giugno aggrappandosi a presunte irregolarità sulla scelta delle provette durante il fatidico controllo o a presunte interferenze della criminalità organizzata, in qualche modo legata al mondo delle scommesse a margine della corsa rosa. Quelle ombre sono di natura diversa perché proiettano dubbi sulla correttezza agonistica del campione. Esse non possono essere cancellate attraverso una sentenza che certificherebbe probabilmente solo una verità processuale, ma non assoluta. Gli indizi fino ad oggi emersi, o dedotti percettivamente, portano da tutt’ altra parte. Quindi la strada da percorrere , l’unica a mio modo di vedere, è quella che e’ sempre stata lì sotto gli occhi di tutti. Per certi versi, fu indicata più volte dallo stesso Pantani. Bisogna solo ufficializzare un puzzle i cui pezzi sono pressoché al posto giusto, ciò ha reso minimi per la stampa anche i rischi di impopolarità per eventuali prese di posizione che solo qualche anno fa si potevano ritenere audaci.
Insisto dicendo che solo una sincera analisi storica del periodo, alla luce dei tanti fatti venuti a galla, può in qualche modo cancellare quelle ombre, perché in fondo non erano figlie di un comportamento scorretto, ma nascevano dall’essere parte integrante di un mondo dove, per esempio, almeno venti suoi colleghi erano capaci di scalare l’Hautacam in un tempo inferiore a quello impiegato da Nibali nel corso del suo Tour vittorioso, senza che fossero mai beccati positivi o con l’ematocrito fuori norma.
Premesso ciò, ritenendolo quanto mai attuale, voglio riproporre uno dei miei post al quale sono più affezionato.
Scritto in occasione del decennale della morte di Marco Pantani ed in epoca antecedente alla riapertura del caso.
Buona riflessione

Salotto del Ciclismo

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