Conclusasi l’asta fallimentare con l’acquisizione dei terreni da parte di Dras Costruzioni, attuale proprietaria di oltre 30 ettari di Gazzena, tra cui gli edifici di villa Calanna, sulla Gazzena scende il sipario.
Le battaglie della società civile e delle associazioni ambientaliste, Legambiente e Wwf in testa, riescono ad evitare la distruzione dell’area negli anni della grande speculazione edilizia.
Come si legge in un articolo di Felice Saporita sul quotidiano La Sicilia dal titolo emblematico “No al sacco della Gazzena “ in cui la Legambiente (presieduta dal battagliero Ernesto Raciti), la Lipu ed il WWf si misero di traverso :
… “La commissione edilizia comunale di Acireale ha approvato il sacco della Gazzena”. Ha dato infatti il parere favorevole a un piano di lottizzazione, presentato da una società ad hoc costituitasi dell’area Acque Grandi e Gazzena, prevedente la costruzione, in un’area di 38 ettari, di un complesso alberghiero costituito da tre corpi e programmato per novanta edifici residenziali destinati a ricevere 1051 abitanti. II complesso avrà una cubatura di 178.000 metri cubi, e la superficie destinata a trasformazione edilizia (edifici, strade, parcheggi, zone pavimentate. zone soggette a stravolgimenti morfologici e botanici) sarà di circa 285.000
metri quadri. La pratica edilizia sembra andare avanti come un grosso panzer che lentamente ma inesorabilmente travolge ogni ostacolo e non si preoccupa per niente del fuoco di sbarramento che associazioni ambientalistiche
(Lega per l’Ambiente, WWf , Italia Nostra) e personalità della cultura, dell’amministrazione e dei sindacati hanno posto in essere con l’intento di evitare la scomparsa di una stupenda zona della costa etnea.”
Oggi, ad oltre 22 anni dal decreto che istituisce la Riserva e blocca la speculazione sull’area, la situazione è immutata rispetto a quegli anni turbolenti in cui abbiamo rischiato di perdere tutto. Ma fino a quando?
La Gazzena infatti, come buona parte della Timpa di Acireale, è una riserva abbastanza anomala, non possiede ingressi pubblici ad eccezione delle Chiazzette del Tocco, e nella parte sud, nella Gazzena è praticamente inaccessibile.
Nessun varco pubblico è presente e l’accesso avviene solo “per gentile concessione ” dei privati possessori dei terreni, nessun presidio dell’ente gestore è presente nell’area e lo stato di abbandono e degrado ambientale dei terreni, sembra la naturale prerogativa ad una nuova azione di rivalsa da parte dei possessori dei fondi.
E’ difficile credere che imprenditori che hanno investito oltre 3.500.000€ nell’area, possano restare immobili a lungo a fronte di una totale immobilità della Regione e dell’ente locale nella preservazione e nello sviluppo di un eco-turismo sostenibile. Le responsabilità sono difficili da attribuire, eppure la mancata demanializzazione delle aree non può essere l’unico alibi, per un fallimento di quello che potrebbe essere, la più grande opportunità di sviluppo per l’intera città di Acireale.
Sono decine le riserve ed i parchi in Sicilia che insistono su terreni privati, la riserva di Pantalica ha anche un paio di ristoranti al suo interno che non precludono cospicui investimenti pubblici a cui attingono anche i privati attraverso le misure dei fondi europei, eppure le presenze aumentano ogni anno e l’ente gestore sorveglia, vigila e organizza generando un indotto su tutto il comprensorio da Cassaro a Ferla a Sortino.
E’ di questi giorni il finanziamento del prolungamento della pista ciclabile che sfruttando l’ex tracciato ferroviario arriverà fino a Palazzolo Acreide, con un investimento di oltre 3 milioni di euro.
Lo stesso si può dire di tante altre riserve regionale, la cui norma istitutiva e quanto di più avanzato e lungimirante sia stato prodotto in Sicilia negli ultimi duecento anni, la legge Regionale 98 del 1981 contiene tutto ciò che serve per dare pieno sviluppo ad un equilibrio tra preservazione e sviluppo ecoturistico, basterebbe applicarla .
Dalle nostre parti invece il tempo si è fermato al 23 aprile del 1999, il giorno in cui dopo la provvidenziale mano di Rino Nicolosi, che nel 1981 reperisce tre deputati, che necessariamente devono sottoscrivere, e presenta un emendamento aggiuntivo all’art. 30, al 6° comma : dopo la parola ‘Calatabiano’ aggiungere ‘La Timpa’, comune di Acireale” firmato Rosario Nicolosi, Sciangula, Nicoletti.
Cosi’ con la legge regionale 6 maggio 1981 n° 98, legge quadro generale, viene prevista la costituzione della Riserva naturale “La Timpa”.
Da allora poco o nulla è cambiato, l’ente gestore non ha ristrutturato alcun edificio nè pubblico nè privato e la sede della riserva si trova in una baracca di legno che i volontari di Legambiente gestiscono da anni, nessun sentiero è stato ristrutturato nè migliorato nella sua fruibilità, nessun accesso pubblico è stato creato nella Gazzena dove l’unico “gestore” è il pastore che da trent’anni pascola le sue pecore in piena zona A nonostante, sia espressamente subordinato ad un nulla osta dell’ente gestore.
Ente gestore che, a quanto si legge dalla stampa degli ultimi giorni, pare non fosse al corrente della presenza di un allevamento abusivo al suo interno, oggetto, sempre leggendo fonti di stampa, di un provvedimento di sequestro da parte dei Carabinieri di Acireale e dell’Asp veterinaria.
Gli spazi pubblici invece di ampliarsi si sono ridotti negli anni ed anche la recente decisione del Comune di Acireale di dare in gestione il tracciato di Acigreenway, appena recuperato con oltre 600.000 € di fondi pubblici, non può far storcere il naso a coloro che pensano che la riserva della Timpa sia in grave affanno.
Un esempio per tutti è il muro franato nel 2014 a seguito della tromba d’aria che si è abbattuta su Acireale, a tal proposito il direttore della Riserva Dott. Piccinini dichiarava al riguardo : «Non sono proprio il massimo quelle pietre a pochi metri dall’entrata – continua Piccinini -ma purtroppo il progetto per la messa in sicurezza non è stato presentato. Il Comune ha fatto sapere che manca soltanto il parere geologico. Dopodiché procederemo con le autorizzazioni». Un anno e mezzo per un muro in pietra lavica sembrano, tuttavia, essere un tempo difficilmente giustificabile. «Ho incontrato il tecnico incaricato dalla proprietaria un anno fa, per due volte – continua il dirigente – poi non ho più avuto contatti.
Tutto bene quindi, peccato che la dichiarazione sia del 2016 ed il muro sia ancora lì a testimoniare che la riserva non è gestita da nessuno e l’alibi della mancata demanializzazione è ormai una vera e propria foglia di fico. Probabilmente le responsabilità sono da ricercare tra tutti i soggetti coinvolti, dalle associazioni, un tempo battagliere ed oggi più interessate a gestire i vari progetti cofinanziati che si svolgono all’interno della riserva, all’ente gestore che non gestisce nulla di più di qualche autorizzazione cartacea, all’amministrazione comunale che dal 2000 avrebbe dovuto redigere un piano di utilizzo mai nato, ai cittadini che hanno dimenticato che la Timpa è l’assegno in bianco che la natura ha lasciato ai loro figli.
Fabio D’Agata