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La natura riprende i suoi spazi: viaggio tra i paesaggi fantasma d’Italia

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Paesaggi fantasma, paesi abbandonati, ruderi di una quotidianità interrotta. L’uomo con le sue città e le sue attività tende ad invadere sempre più il terreno naturale, occupando talvolta spazi che da sempre sono stati destinati a boschi e campagne. Stiamo parlando di confini urbani sempre più al limite delle campagne, di strade montane o costiere, di residenze e strutture ricettive in paesaggi poco urbanizzati e di interi centri abitati che si spingono vicino al mare o alle pendici dei monti, spesso anche fin troppo.

Tale modalità costruttiva e di occupazione del suolo ha talvolta portato a distruzioni di interi paesi e tragedie anche di grandi proporzioni, dovute a frane, allagamenti o altri eventi naturali incontrollabili.
È la natura che riprende i suoi spazi. Ma, quando la natura decide di muoversi, non sempre è sinonimo di disastro: talvolta è un processo molto utile alla rigenerazione del paesaggio.
Dopo un grave incendio boschivo ad esempio, la foresta viene profondamente danneggiata e con essa tutto l’ecosistema di fauna e flora: i boschi prendono il sopravvento in zone che prima erano pastorali o agricole.
Il susseguirsi degli anni rende i campi e i sentieri totalmente invasi dalle erbacce e parzialmente nascosti. Le strade sterrate diventano inutilizzabili, le radure e le aree aperte si riempiono di arbusti che rendono irriconoscibili i campi una volta coltivati. Trascorsi circa 50 IMG_0812anni dall’abbandono del territorio da parte dell’uomo il bosco è talmente cresciuto che restano solo poche tracce del passaggio umano.
Nel corso della storia sono numerosi i casi di villaggi o intere città abbandonate dall’uomo che per ragioni svariate si è spostato in altri luoghi a lui più congeniali. Storicamente noto è il caso di Pompei, abbandonata definitivamente dopo l’eruzione disastrosa che ha subito in epoca antica.
Molti però sono anche i casi di paesi abbandonati recentemente.
È il caso per esempio di Roscigno Vecchia, nel Cilento, fatta sgomberare agli inizi del novecento per la minaccia di una frana, oppure Pentedattilo in Aspromonte che ha visto iniziare l’abbandono alla fine del Settecento dopo un terremoto e che ora è un paese fantasma. Consideriamo ancora l’esempio di Resia, in Val Venosta, che ancora oggi vede riaffiorare, dalle acque dell’omonimo lago artificiale, il campanile del vecchio borgo.
In tutti questi luoghi un tempo abitati, la natura lentamente riprende possesso del territorio.
Dopo l’abbandono, il deperimento delle abitazioni è evidente: i tetti cadono giù, le costruzioni, anche se un tempo solide e robuste, spesso crollano al suolo e negli anni seguenti restano solamente i muri più imponenti o le costruzioni più resistenti come le opere di sostegno o i terrazzamenti, che hanno inciso in maggior modo sul territorio.
La natura quindi, prima o poi, riprende possesso dei propri luoghi, cancellando il passaggio umano.
Questo non deve essere una buona scusa per costruire ovunque e senza pensare alle conseguenze delle proprie opere che talvolta, come visto, possono portare a disastri naturali.
Anche la normativa italiana tenta di arginare i fenomeni di abusi edilizi in zone marine o montane, ma anche di frenare pratiche come l’incendio doloso per speculazioni edilizie.

C.Patanè
Fonte: architettura ecosostenibile

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