In particolar modo, in architettura, ogni giorno veniamo bombardati da progetti fluttuanti: ponti aranci galleggianti, zattere di legno spacciate per padiglioni, stravaganti piante di bonsai sospese in aria grazie ad un articolato sistema magnetico che farebbe alterare persino l’intero asse terrestre, non ultime, le continue installazioni sospese in aria di ombrellini e dondole colorate o tubolari di acciaio sparse per tutte le città.
Tutti questi, sono dei semplici esempi superficiali volti a spettacolarizzare gli eventi.
In alcuni casi sono protagonisti di un vero e proprio ” virtuoso” marketing pubblicitario, il più delle volte ce li ritroviamo a far compagnia alle illuminazioni temporanee delle sagre di paese.
Questi interventi, pensati in piccola o grande scala, animano e rallegrano gli spazi in cui trovano collocazione.
L’ architettura, ormai già da tempo, è piena di realizzazioni effimere e c’è poco di concreto se non il fatto in se di vederle installate. L’ osservatore rimane colpito da ciò che vede, ne può essere entusiasta o meno. Il fatto è che tutto ciò che vede non è pensato per durare, ma solo per colpire la sua sensibilità. E allora? Se da un lato questo tipo di progettualità è frutto di una società in continua evoluzione, spesso in crisi di certezze, dall’ altro bisogna anche chiedersi il perché dell’assenza, spesso, di fatti progettuali più tangibili, materiali e duraturi.
Il progetto in architettura deve generare innanzitutto un luogo-spazio-tempo adeguato. Lo spazio che i nostri sensi solitamente recepiscono e la mente per abitudine elabora non ha esistenza ed in quanto tale va generato.
Quello che siamo soliti vedere e percepire, specie nei luoghi aperti, è spazio occluso, perché occupato dalla concretezza dell’essere esso stesso non svuotato del suo significato.
Il fine o almeno l’ obiettivo di ogni progetto architettonico è quello di esprimere l’esistenza d’un mondo non fittizio, un mondo che, nonostante sia in continuo mutamento, ha bisogno di fatti autentici, più pratici e duraturi nel tempo.
Cristina Patanè