martedì, Aprile 16, 2024
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Paesaggi Ibridi: “In Between” Contemporaneo

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Trattare di spazi urbani contemporanei oggi significa lavorare in una realtà sempre più sfuggente, complessa, instabile perché dinamica e molteplice perché diversa ed irregolare.

I processi economici, politici e sociali attuali hanno determinato profonde trasformazioni nella città contemporanea, sia da un punto di vista formale che da quello sociale, determinando una complessa stratificazione in cui convivono simultaneamente reti, flussi, architetture dell’effimero e luoghi della memoria.
Questo continuo stato di inquietudine investe il campo delle discipline dello spazio e tende a produrre un’architettura poliedrica dinamica ed interattiva.
Il tema dell’ibrido, sebbene esplicitamente utilizzato in una molteplicità di contesti, è spesso associato in ambito progettuale e teorico per identificare in senso negativo ricerche sulla generazione digitale della forma, finalizzate alla creazione di ambienti spesso puramente virtuali e risolti in sofisticate manipolazioni degli involucri esterni.
Ricerche di questo tipo sono ad esempio la Transarchitecture di Marcos Novak, l’Architettura genetica di Karl Chu oppure le Embryologic houses di Greg Lynn e molte altre del panorama contemporaneo.
Il paesaggio ha ormai assunto una centralità nella costituzione morfologica della città contemporanea.
Le aree “vuote”, un tempo spesso concepite come lacune nel tessuto della città compatta, diventano oggi sempre più occasioni fondanti della nuova forma urbana.
Le aree di margine, di interstizio, possono diventare aree strutturanti la nuova città- paesaggio.
Non si parla di città-territorio o città diffusa, ma città-paesaggio, ovvero una città tendenzialmente conformata dal paesaggio e dai suoi elementi caratterizzanti, in cui il progetto del vuoto può diventare prevalente sul progetto del pieno, in cui anzi lo spazio vuoto è potenzialmente il pieno, la materia stessa della costruzione urbana.
Focalizzare l’ attenzione sui confini, sulle frontiere, sui margini, sulle “aree vuote”, oggi costituisce il tema più affascinante e produttivo dell’architettura urbana.
12286094_1233134060045438_916278840_nIn simili “paesaggi ibridi”, la contaminazione di forme e linguaggi non concede spazio a ricerche di purezza; l’identità che possiamo ricercare non è certo nella purezza dei segni e delle forme, ma nella capacità di captare e coniugare le differenze, di instaurare sintonie, progettare ed esaltare le dissonanze.
L’attenzione alla composizione architettonica e urbana dei vuoti, peraltro, non è affatto nuova per la tradizione del Moderno, basta pensare ad esempio al concetto di memoria decostruttivista dell’
In Between, termine ricorrente in architettura ed esprime la condizione di essere fra le cose.
I teorici di questo tema sono Bernard Tschumi e Peter Eisenman; secondo Eisenman il between è una tecnica che serve ad uscire e superare le opposizioni tradizionali, ad esempio struttura e decorazione o forma e funzione.
Vengono quindi abolite le opposizioni ammettendo invece la confusione tra il razionale e l’irrazionale.
Bernard Tschumi pensa che il between sia uno spazio residuale nel mezzo della razionalità, un luogo inaspettato dove possono succedere cose imprevedibili.
Con la caduta delle opposizioni tradizionali e di conseguenza delle certezze su cui si basavano molti pensieri, in architettura si assiste ad un cambiamento di mentalità riguardo allo studio dello spazio: esso non viene più pensato solo da un punto di vista funzionale ma anche dal punto di vista emozionale perché saranno i fruitori stessi ad attribuirgli un senso quando stabiliranno delle relazioni con lo stesso.

Cristina Patanè

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