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Piccola storia di Jaci – “I lupinari”

“Esistono ancora in questo mondo i venditori di lupini” con questa frase, il dott. Fichera iniziava il suo articolo dedicato ai “Lupini e Lupinari” dell’ottobre 1940. Un tempo erano numerosi i venditori di lupini, si vedevano aggirare per la città e le campagne col tradizionale “panaro” con i lupini avvolti nei veli nelle versioni “moddi e duri” (morbidi e duri). Di frequente i lupinari sostavano davanti le “Putie” , perchè col lupino si accompagnava bene il vino. Il cronista citava la famosa “putia di Jnnaru” sotto la Grotta, la “putia di Jachino” a Santa Maria la Scala o quella di “Nespa” ad Aciplatani. il dott. Fichera ricordava con rammarico che la gioventù del suo tempo non consumava più i lupini ma ormai avevano preso piede i gelatai con i loro carrettini per la vendita di coni e gelatini, il consumo di questi semi erano cosa da vecchi. La coltivazione del lupino e la sua lavorazione ha una lunga storia, nelle contrade di Aci, risalente al XVI secolo, il lupino infatti ha bisogno di molta acqua per la lavorazione e la zona principale era la Reitana, ricca di acque dove si trovavano anche le vasche dove il seme amarognolo veniva messo a bagno.

Ancora oggi, fortunatamente, qualche lupinaro in città resiste e precisamente al “chiano Davì” o al “Carmine” o direttamente alla Reitana dove ancora con tradizione secolare la fam. Chiarenza si tramanda l’arte della lavorazione del lupino.

L’usanza domenicale di scendere a “chiazza pe’ lupini” ancora resiste con la classica domanda….moddi o duri?

(Seby Pittera)

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