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Piccola Storia di Jaci – L’antica statua di Santa Venera

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L’ANTICA STATUA DI SANTA VENERA
Dopo la definitiva separazione dei casali di Aci e il trasferimento del culto e festività di S. Venera, anche in Aci Aquilia vi fu chi si prodigò affinché si potesse celebrare degnamente questa ricorrenza che tanto benessere portava in Città con la sua fiera.
Poiché in Santa Venera al Pozzo, il culto era antico e consolidato, sin dal medioevo, ed ancor più luogo di vero e proprio pellegrinaggio per i tanti miracoli avvenuti (1), per poter avere riscontro della festività anche in Aci, il Carmelitano Fr. Serafino d’Aci chiese ed ottenne dal Cardinale Genetti, Vicario di sua Santità Innocenzo X, il 4 giugno del 1648, la prima reliquia della Santa.
Purtroppo non c’è dato sapere se nel luglio di quell’anno vi furono particolari celebrazioni in coincidenza con l’arrivo della reliquia in Città, infatti, come riporta il Lo Bruno nella sua “Cronaca”, il devoto Fr. Serafino, a sue spese in quel 1648 nella città di Palermo, commissionò la realizzazione della statua a mezzo busto della Santa in abiti carmelitani, tutta ricoperta di foglia d’oro laccata.
La statuina, piccola quanto preziosa, recava incastonata al petto una teca ove custodire la preziosa reliquia, con la sua cornicetta in argento, divenendo così la statua un vero e proprio busto reliquiario. La reliquia collocata nel suo degno simulacro, poteva ora sfilare per le vie della Città.
Il reverendo P. Serafino per maggior decoro della Città, il 6 giugno del 1649, donava la statua e la reliquia, a condizione, visto che egli ed il suo Ordine avevano ricevuta la reliquia e realizzato a proprie spese il reliquiario, che queste rimanessero custodite nel loro convento e che nel medesimo luogo si svolgessero anche le relative celebrazioni.

 

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Se la donazione era ben accetta, le condizioni non lo furono affatto poiché vennero viste come delle vere e proprie pretese, sia dalle autorità ecclesiastiche che da quelle civili del tempo, ma poiché il tempo era ormai prossimo alle celebrazioni di quell’anno, questi ultimi malvolentieri sottostarono ai desideri del donatore.
Il 25 luglio 1649 tutte le autorità civili, religiose, militari e un nutrito concorso del popolo si recarono processionalmente verso la chiesa dei Padri Carmelitani per andare a prendere il busto reliquiario.
Condotta nella Matrice Chiesa, per essere la sera portata in processione, dentro la “varetta” del
S.S. Sacramento, il corteo, uscito dalla porta di mezzogiorno, attraversò quella che oggi è la piazza del Duomo, proseguì per l’odierna via Ruggero Settimo, per giungere alla chiesa di San Sebastiano, da questa, proseguendo per l’attiguo vicolo, imboccarono la strada del “quondam Paolo Pennisi” (via Pennisi), e da qui immettendosi sull’attuale via Galatea, andarono al convento dei Cappuccini e alla chiesa di S. Rocco, transitando per l’odierna via Roma.
Dopo le piccole soste che in ogni luogo si effettuavano, il corteo con il prezioso busto, scese per il viottolo che oggi ha nome di C.so Umberto, per arrivare alla chiesetta di S. Vito che al tempo esisteva all’imbocco tra questa via e quella che prende oggi il nome di via Currò. Da questa chiesetta, il corteo fece nuovamente ritorno all’Annunziata, per rientrarvi dall’ingresso principale. Tanto quando uscirono che quando vi rientrarono, furono sparati cinquanta “mascoli”.
Poiché il seguente anno i diverbi con i frati sia accesero ancor più, le autorità cittadine, con un consiglio svoltosi il 10 luglio del 1650, deliberava la realizzazione di una statua in argento in “miglior forma” da pagarsi con parte dei proventi della fiera che si svolgeva in quei giorni di festività negli anni 1651-53.
Intanto il 22 gennaio 1651 viene tenuto un pubblico consiglio dove si richiede e sottoscrive l’elevazione di Santa Venera quale Patrona della Città e di presentare la relativa documentazione alla Sacra Congregazione dei Riti come la costituzione del 23 marzo 1630 emanata da Papa Urbano XVII sanciva.
In città, intanto si richiesero le migliori maestranze del tempo per la realizzazione del nuovo simulacro. Venne interpellato lo scultore, nonché pittore, Antonino Finocchiaro, al quale si commissionò il busto di altezza di “palmi” tre che ultimatolo inviò a Messina all’argentiere Mario d’Angelo il quale ne curò il rivestimento.
Il bellissimo volto e le mani vennero dipinte dall’eccelso pennello del pittore Giacinto Patania (Platania).
Il 26 luglio del 1655, il bellissimo e preziosissimo simulacro sfilava per la Città, lasciando ai frati carmelitani, la loro statuina e reliquia.
Mentre ogni anno le celebrazioni in onore di Santa Venera si svolgono in quella che oggi è divenuta la cattedrale di Acireale ed il suo simulacro viene custodito in una preziosissima cappella, realizzata grazie al lascito del nobile Trojlo Saglimbene nel 1658.
Della statuina lentamente si andò perdendo memoria.
La ricorda un ultima volta al grande pubblico, il Cappuccino Anselmo Grasso nel suo “Compendio della vita di Santa Venera” e da qui l’oblio.
Pochi sanno infatti che la statuina in seguito, privata del suo argenteo reliquiario venne rivestita con un abito carmelitano ed ebbe il capo cinto da una coroncina di rose e da quel momento non si parlò più della Statua di Santa Venera ma bensì di quella di Santa Teresa.
Ragazzino la ricordo ancora intatta quando uscendo dalle attigue scuole elementari del Carmine, la perpetua mi faceva entrare nella sua casa (oggi garage e un tempo ex chiesa di San Francesco d’Assisi) e lì, in un angolino, mi faceva vedere la bellissima statuina il cui volto dall’incarnato quasi umano, era lambito da una luce radente che penetrava da una finestra sovrastante. La rottura di un vetro della medesima finestra e le infiltrazioni d’acqua piovana perpetrate per anni la ridussero ad un informe mucchietto di legni semi marci che solo la maestria del restauratore A. Trovato, hanno in parte restituito al primitivo splendore grazie ad una prima fase di restauro.
Auspichiamo che al più presto possa completarsi l’opera intrapresa,così da restituire alla cittadinanza un gioiello secondo unicamente al simulacro che veneriamo oggi, così com’era nei propositi di quegli antichi concittadini.

(1) Nei primi anni del XVII secolo, assistiamo ad una concomitanza di eventi, ritenuti miracolosi nei centri dedicati a Santa Venera al Pozzo, Santa Venera di Trappitello, e Santa Venera di Gala.
Nel primo di questi, assistiamo a delle guarigioni miracolose legate alle acque che ivi sgorgavano oltre che alla devozione verso la Santa; nel secondo di questi luoghi, altre guarigioni avutesi per motivi analoghi (anche qui vi era una fonte), e per il ritrovamento e venerazione dei corpi di oltre venti Martiri, rinvenuti sul luogo, che il popolo del tempo sommariamente identificò come Martiri di epoca romana. Oggi studiosi della città di Taormina, e un manoscritto ritrovato a Simancas, che narra proprio del rinvenimento delle reliquie, posticiperebbero questo martirio al X secolo, e probabilmente coinvolse personaggi eccellenti del tempo; nel terzo ed ultimo sito, le cronache riportano che in piena notte le campane della chiesa di Santa Venera iniziarono a suonare inspiegabilmente, svegliando frati e popolazione del luogo che così destati, si avvidero che un incendio minacciava quei luoghi, potendo così agire tempestivamente e spegnerlo.

(testo e foto di Aurelio Grasso)

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