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Piccola storia di Jaci – L’epidemia di colera del 1854

Nel 1800 l’Europa e in particolare il Regno delle due Sicilie fu flagellato diverse volte dall’epidemia del colera. Nel 1854 per la terza volta il morbo asiatico si ripresentava nelle nostre contrade, i cronisti siciliani ci hanno tramandato alcune notizie:

L’epidemia di colera che flagellò la Sicilia nel 1854, provenendo da Napoli e Malta, causò, secondo prudenti calcoli, circa 27.101 vittime, cui vanno aggiunte le 17.136 per la recidiva del 1855. Sull’origine di tale morbo i Siciliani possedevano solo la certezza che esso, come la
peste, “arrivava sempre dal levante. Agli albori del XIX secolo, il Cholera Morbus, endemico nelle regioni comprese tra il Gange ed il Bramaputra, era penetrato in Occidente al seguito di recenti
colonialismi, rapporti commerciali e spedizioni militari.

I primi casi del 1854 si presentarono in Sicilia agli inizi di luglio, essendo le condizioni atmosferiche propizie alla sopravvivenza del bacillo, che, contaminando i corsi d’acqua e spinto dalle correnti, raggiungeva rapidamente località anche lontanissime tra loro. L’imprenditore vinicolo inglese Joseph Whitaker ricordava: “a Palermo faceva un caldo atroce e restava solo da sperare che piaccia all’Onnipotente che il colera non sia di natura così spaventosa e maligna come la volta precedente …” .

Il tredici dello stesso mese di luglio, l’Intendente del Valle di Catania, Angelo Panebianco, comunicava a Sottointendenti e Sindaci della provincia la ricomparsa del colera a Parigi e Marsiglia, trasmettendo loro, al contempo, le determinazioni del Magistrato Supremo di Salute Pubblica sulla contumacia per le navi provenienti da Francia, Corsica ed Algeria: precauzione inutile perché il colera era ormai penetrato da Napoli o Malta attraverso il contrabbando.

Il 26 luglio, il Luogotenente Generale di Sicilia, ad interim, Carlo Filangieri Principe di Satriano aggravava le pene per i reati contro la salute pubblica, istituendo un presidio in ciascuna delle sei sezioni di Palermo con un medico soprintendente. Il morbo comparve a Catania in agosto per le precarie condizioni igieniche e l’insufficiente regime alimentare. La pressoché assoluta mancanza di capacità professionale ed abnegazione dei soggetti preposti all’applicazione delle misure di prevenzione ne vanificò l’efficacia. (Archivio storico del comune di Catania)

Tutto questo accadeva nell’isola mentre per Acireale alcune notizie sul pericolo di quest’epidemia ci sono arrivate dall’ libretto”Discorsi Sacri” del Sac. Giuseppe Di Mauro Riggio:

Entrato il caduto ottobre (1854) si affaciò minaccioso l’asiatico morbo al cospetto di nostra patria (Aci – Reale). Alle prime notizie, sempre più ingrandite dall’immaginazione, vidi per ogni parte sbandarsi a gruppi, a turme, a famiglie, quanti ebbero i mezzi e il destro di fuga (spediente riconosciuto fin dalla remota antichità nei morbi epidemici e contagiosi). Aci divenne così orba dei suoi più nobili e facoltosi cittadini, e cadde in una specie di solitudine, mai non ricordata dai contemporanei. Furono interrotti i pubblici e i privati negozi, serrati i palagi, chiuse le camere di ritrovo, e muta rimase la maggior parte delle botteghe e dei convegni. La gente rimasta, presa dal timore, guardavasi attorno sbigottita ed andante, e parve che di momento in momento indagasse con gli occhi dove i primi strali del morbo ferissero”.

Solo le Chiese tra cui le Basiliche rimasero aperte con continui “quarantore” del SS.Sacramento e le esposizioni delle venerate reliquie dei SS. Patroni unico conforto per gli sventurati rimasti in città. Particolare ricordo è riservato alle benemerite monache recluse di San Benedetto che malgrado i rischi e avendone la possibilità non abbandonarono il convento continuando la loro incessante preghiera.

Il Sac. Riggio concludeva sottolineando che : “Per questa volta si può dire che fummo risparmiati dal crudele flagello; il Monastero e con esso la Patria, fu salvo, la mano di Dio non si gravò sopra di noi”.

(Seby Pittera)

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