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Piccola storia di Jaci -Lord William Bentinck ospite della Città, anno 1813

 

 

 

Della visita in città di questo politico inglese ci da notizia Lionardo Vigo Calanna nelle sue “Notizie storiche della Città di Aci – Reale”. Nel 1813 fu in Aci Lord Guglielmo Bentink, abitò il palagio del Musmeci ove Re Ferdinando era stato, e chi colui si fosse spetta alla generale storia il narralo. Fu accolto e festeggiato come se monarca stato si fosse. 

Lord Bentick  fu ministro degli esteri del governo siciliano riconosciuto dalla Costituzione siciliana del 1812, poiché l’Inghilterra esercitava un protettorato sull’isola.

Biografia di Giuseppe GALLAVRESI , Enciclopedia Treccani

BENTINCK, lord William. – Nato il 14 settembre 1774, figlio cadetto del terzo duca di Portland, pervenne rapidamente al grado di maggior generale battendosi in tutte le guerre condotte dall’Inghilterra contro la Francia rivoluzionaria. Nel 1799 venne in Italia al seguito dell’esercito austro-russo; nel 1804 successe a lord Clive come governatore di Madras e nel 1810 fu designato come principale collaboratore del Wellington nella direzione della guerra proseguita dagl’Inglesi nella penisola iberica. Poco soddisfatto di quella posizione subordinata, il B. preferì di ricevere dal gabinetto di Londra il comando delle forze britanniche stanziate in Sicilia, insieme con la rappresentanza diplomatica della corte inglese presso quella di Sicilia. Arrivò a Palermo nel luglio del 1811, subito dopo l’arresto di cinque fra i principali membri dell’opposizione costituzionale nella camera dei Pari: arresto compiuto ad istigazione della regina. Subito convintosi dell’urgenza di porre termine all’irritazione del popolo siciliano contro la corte, se si voleva evitare che il malcontento si estendesse anche contro gl’Inglesi supposti protettori della regina, il B. chiese invano a questa la liberazione dei baroni e una serie di riforme concertate, a quanto pare, col duca d’Orléans che allora risiedeva a Palermo. Dopo circa un mese e mezzo, non riuscendo a vincere la resistenza passiva della corte, il B. ripartì per l’Inghilterra, dove sottopose a un consiglio dei ministri la condizione delle cose in Sicilia, che si era fatta più grave per il fondato sospetto di segrete relazioni della regina Carolina con Napoleone; e, vinta la resistenza del Perceval, ottenne pieni poteri per imporre anche con la forza i necessarî mutamenti alla corte di Sicilia. Tornato a Palermo il 6 dicembre 1811, rinnovò le richieste del richiamo dei deportati, del mutamento del ministero siciliano e dell’abolizione di balzelli gravosi al commercio inglese, e aggiunse la domanda di ottenere il comando supremo di tutte le forze armate dell’isola. Quand’ebbe visto che il re Ferdinando IV affettava di disinteressarsi degli affari politici e che la regina preparava la resistenza, presentò un ultimatum al principe ereditario minacciando di rompere le relazioni diplomatiche e di porsi alla testa delle sue truppe. Così il 15 gennaio 1812 il principe ereditario di Sicilia fu nominato vicario generale del regno e chiamò al Ministero degli esteri il principe di Belmonte, reduce appena dalla deportazione nell’isola di Favignana, avendo fin d’allora deciso di riformare la secolare costituzione della Sicilia sul modello di quella inglese. Frattanto il B., ritenendosi ormai sicuro di poter contare sulla fedeltà del popolo di Sicilia, prestò molta attenzione ai progetti elaborati da un certo Turri, emissario degli avversarî del governo francese, poi detti Italici, per fomentare l’insurrezione nella terraferma italiana, utilizzando al tempo stesso le truppe divenute superflue nell’isola. Decise pertanto di organizzare le reclute italiane che eran venute nell’esercito siciliano dal continente, formandone legioni distinte e propose al governo inglese l’occupazione di Lissa, dell’Elba e possibilmente della Corsica. Concluse il 12 settembre 1812 col Belmonte un nuovo trattato d’alleanza e, quando nel marzo 1813 il re tentò di riprendere il potere, egli lo costrinse a deporlo di nuovo e obbligò anzi la regina ad imbarcarsi per andare a Vienna. Ormai egli poteva senza timore arrendersi alle insistenze del gabinetto di Londra perché spedisse una parte delle sue truppe sulla costa orientale della Spagna: anzi alla metà di giugno si recò a prenderne personalmente il comando. Ritornò in Sicilia nell’ottobre dello stesso anno, quando risorgeva la minaccia di un colpo di mano della flotta francese contro l’isola ed erano nel tempo stesso pervenute al comando inglese proposte segrete del Murat per la conclusione d’una pace separata. Istruito da fidati amici dei dissensi che avevano travagliato il partito costituzionale siciliano durante la sua assenza e non essendo riuscito a far votare il bilancio dalla camera dei comuni di Sicilia, il B. suggerì al principe vicario di scioglierla. Nelle nuove elezioni, che effettivamente ebbero esito favorevole ai costituzionali, il B. intervenne senza alcun riserbo, lasciando anche capire che, se quell’estremo tentativo di stabilire in Sicilia un governo amico degli Inglesi non fosse riuscito, egli avrebbe proposto al principe reggente di annettere senz’altro l’isola ai dominî britannici. Frattanto l’adesione dell’Austria alla coalizione antinapoleonica rendeva possibile l’attuazione dei piani lungamente preparati dal B. per sollevare l’Italia contro il dominio francese, valendosi della legione di profughi e di disertori che, sotto il comando del brigadiere Sallier de la Tour, aveva partecipato nel 1813 alla spedizione di Alicante. L’abate Brunazzi da Lissa si gettò sulla costa dalmata sollevandola contro i Francesi, il Nugent sbarcava a Comacchio e il B., trattenuto a Napoli al principio del 1814 dai negoziati per l’armistizio concluso per ordine del suo governo, ma contro voglia, con Gioachino Murat, poteva finalmente sbarcare ottomila uomini sulla spiaggia di Livorno. Da questa città emanò un proclama agl’Italiani incoraggiandoli a sollevarsi contro Napoleone; poi, occupata Sarzana, poneva l’assedio a Genova. Entratovi nell’aprile vi fu raggiunto dal barone Sigismondo Trechi inviatogli dal podestà di Milano, conte Antonio Durini, per chiedere che Milano, insorta il 20 aprile, fosse assistita dalle forze britanniche nella lotta che si supponeva dovesse prolungarsi contro il Beauharnais. Ma la capitolazione con la quale il viceré diede modo alle truppe austriache di occupare la Lombardia, limitò forzatamente l’azione del B. in favore degl’Italici di Milano all’invio del generale Mac Farlane che servì piuttosto a illudere che ad aiutare la reggenza. Il B. ritornò nel giugno per poco più di un mese in Sicilia rassegnandosi a vedervi riassunto il governo dal re Ferdinando. Rientrato in patria, accentuò la sua opposizione al gabinetto conservatore, sicché lord Liverpool impedì nel 1822 che la domanda dei direttori della Compagnia delle Indie di avere il B. come governatore generale fosse assecondata dal re. Lo fu soltanto nel 1828 e il suo governo laggiù fu segnalato da riforme molto discusse. Rimpatriò nel 1834 e morì a Parigi il 17 giugno 1839.

Bibl.: G. Bianco, La Sicilia durante l’occupazione inglese (1806-1815), Palermo 1902; E. Del Cerro (pseudonimo di N. Niceforo), Maria Carolina d’Austria e la politica inglese in Sicilia, in Atti e Rendiconti della R. Accad. degli Zelanti, Acireale 1907-1908; N. Niceforo, La Sicilia e la costituzione del 1812, in Arch. Stor. Siciliano, 1916-1921-1922; L. Genuardi, Tommaso Natale e la costituz. siciliana del 1812, ibidem, 1920; R. M. Johnston, Mémoire de Marie Caroline reine de Naples. De la révolution du royaume de Sicile, Londra 1912. Per l’azione del B. a Milano, cfr. G. Gallavresi, La rivoluzione lombarda del 1814 e la politica inglese, in Archivio Stor. Lombardo, 1909. Per l’opera del B. in India, cfr. Dictionary of National Biography, s. v.

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