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Sebastiano non si tocca.

 

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La sola festa naturalmente barocca e squisitamente popolare non si tocca, non si cambia, non si sacrifica per sostenere operazioni che sono di competenza della politica. Il San Sebastiano ad Acireale rappresenta l’anima popolare, il cuore pulsante “da chiazza”, il colore di una giornata di sole in pieno gennaio, le sfuriate di vento miste a pioggia. Il cuore autenticamente acese senza particolari concessioni alla religione.

San Sebastiano alle sette del mattino riempie di grida la Basilica e non sono omelie ma invocazioni e lacrime, scivola sulle basole laviche, segna l’asfalto con le sue geometrie, per una volta l’anno rende la via Galatea superba, riempie di acesi le strade per tutta Acireale, corre e scivola, sobbalza e si muove tra la folla come un compagno d’infanzia.

Dopo la breve omelia, con Sebastiano posto al portone della Basilica, partono i fuochi e ci si guarda in viso cercando volti conosciuti senza poter dire una parola, poi uno scampanio, la folla che non crea spazi per l’uscita del fercolo. Tutti in piazza con la stessa emozione incosciente. Chi prega, chi vede i visi segnati dal lavoro, chi vede ragazzi e ragazze con addosso il maglione del santo, la fascia del santo, il sorriso di Sebastiano chiamato dai conoscitori “u rizzareddu”.

La festa popolare, trasversale, intima e pagana nel primo pomeriggio corre “a chiazza” ed è tutto un frastuono, abbracci, sorrisi, unione senza barriere culturali, sociali. Un incontro con l’anima popolare che riempie di gioia il credente e l’ateo, una corsa sotto la madonnina che ha il sapore barocco imperdibile e autentico.

Eppoi la “stazione”, “i fuochi del bellavista”, la scivolata sotto “l’arcu do viscuvu” e il rientro acrobatico con giravolta finale e fazzoletti che sventolano, i “viva sammastianu”, i piedi umidi, la folla che non trattiene le lacrime.

Sebastiano è Acireale popolare e non si tocca e non sacrifica nulla della sua tradizione.

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