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SOTTO IL NASO, di Andrea Testa

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Sentì il sudore freddo insinuarsi tra collo e colletto, allargò il nodo alla cravatta con un gesto svogliato e poco elegante.
Una sensazione di inadeguatezza lo soffocava e il ticchettio dell’orologio lo sfidava senza lasciargli tregua alcuna. Avrebbe voluto sfogarsi, gettare gli incartamenti in aria, guardare i fogli adagiarsi sul pavimento chiaro, tornare a casa dalla moglie.
Il dottor Foggia era stato fin troppo chiaro poco prima al telefono: Niente movente, niente cadavere, niente assassino.
Fermò le mani sui fianchi spostando leggermente la fondina, sbuffò. Abbassò lo sguardo e osservò i nastrini colorati sul nero della divisa. Gli restavano poche ore ormai: il signor Mengoli doveva essere a breve rilasciato. L’istinto si manifesta secondo leggi non scritte e come un miraggio appare in un lampo diventando un chiodo fisso che martella il cervello. Il maresciallo non nutriva alcun dubbio. Era stato lui. Lo aveva lì, in caserma, a disposizione. Eppure il presunto assassino sarebbe uscito sorridendo dalla porta principale facendosi beffa delle intuizioni dell’uomo in uniforme. Avrebbe mai potuto scrivere sul verbale di arresto del suo istinto, delle sensazioni o dell’odore acre che emana una bugia? Un qualsiasi avvocato avrebbe riso sonoramente leggendo un’incriminazione basata sul nulla. Il magistrato non poteva far altro che accertare la mancanza di prove inequivocabili.
Era stato breve, telegrafico come sempre, lapidario: Non avete niente per trattenerlo, non convalido nessun arresto, non con questi indizi.
Il caldo afoso e alterno di un’estate anomala non aiutava di certo a concentrarsi. L’afa è nemica dell’uomo in divisa, della cravatta, dei colletti bianchi, dei berretti e delle auto scure. A dire il vero c’era poco su cui riflettere; antipatia, qualche dissapore, vecchie gelosie, nulla che giustificasse un delitto. Eppure l’intuito lo aveva sempre aiutato e nessuno conosceva meglio di lui gli abitanti del paese.
Certe indicazioni si sentono dentro, si respirano come l’aria, si accarezzano con i pensieri, scorrono davanti agli occhi ancor prima di diventare prove. I carabinieri si stavano dannando per trovare quel corpo di cui solo il sangue, troppo sangue, ne aveva indicato la morte all’interno dell’appartamento.
Le tracce si fermavano proprio dietro la porta e chiudendola l’assassino aveva con una magia cancellato il percorso che lo aveva portato a svanire nel nulla con il cadavere.
Erano passati sei giorni prima che venisse fermato il signor Mengoli, arrestato nella notte quasi per disperazione, dicevano i giornali, dai carabinieri che brancolano nel buio. Il maresciallo asciugò la fronte e con un sorriso di circostanza indossò la maschera della freddezza, della decisione, dell’uomo invincibile. Aveva ritagliato quei titoli di giornale e li aveva messi in bacheca in bella vista come un monito, uno stimolo.
Entrò per l’ennesima volta nella stanza. Fece uscire con un cenno brigadiere e appuntato. Rimase solo col signor Mengoli, occhi negli occhi. L’aria si fece pesante, irrespirabile. L’adrenalina alzava entrambi un millimetro sopra il pavimento. “Quanto tempo ancora vuole farci perdere? Le sue impronte sono ovunque, lo hanno appena confermato i colleghi del Ris.” Mentì.
Il signor Mengoli non rispose e accennò a un sorriso.
“Dove ha nascosto il corpo?” Il sorriso diventò una smorfia di plastica, antipatica.
“Siamo stati più che pazienti e cortesi con lei…” Si tolse la giacca e arrotolò le maniche della camicia.
Il silenzio tramutò in sonora risata: “Signor Maresciallo, che fa, vuole dar sfogo alla tensione?”
La vecchia sedia di plastica marrone volò contro la parete stridendo sul muro ad un passo dal signor Mengoli.
“Una persona di questo paese, un suo amico…che dico…un suo nemico è sparito in un mare di sangue… lo trova divertente?”
La risata ritornò sorriso.
“Uno del paese… Signor Maresciallo lei lo sa, a me questi negri non piacciono e nemmeno i carabinieri. Le sembra un reato? Aspetto il mio avvocato. Non ho niente da dire né a lei né ai suoi colleghi. Conosco la legge. La conosco bene. Stiamo perdendo tempo entrambi. Posso fumare?”
La pazienza stava raggiungendo il famigerato limite. “Lo stiamo aspettando da ore il suo avvocato e la legge la conosciamo entrambi. Vuol fumare adesso? Diamo i numeri?” L’espressione del sospettato diventò stranamente seria. “Conosco la legge e non ho più niente da dire.”
Il caldo faceva sfumare i colori e confondere i contorni. L’asfalto pareva sciogliersi passo dopo passo sotto i mocassini neri. Il rumore del silenzio fischiava nelle orecchie, il fruscio dei pantaloni neri lo accompagnava da anni. Passeggiare aiuta a riflettere, pensò, muoversi a star fermi, a stare calmi. La luce lo accecava, brancolava nel buio. Il paese sembrava deserto, gli scuri erano chiusi, i locali vuoti, disertati. La gente raramente aiuta nelle indagini, nessuno vede, nessuno nota. L’assassinio di un extracomunitario spesso si perde nel nero dell’indifferenza, dell’ignoranza. Qualcuno crede che un poco di buono, un poveraccio, meriti di morire proprio perché tale. Non è razzismo, non è qualcosa di razionale, di ragionato. È una sorta di normale istinto comune a molti, una forma di repulsione naturale, schifosa. E in contesto del genere, per la morte di un corpo che nessuno piange, è difficile trovare una strada, un’indicazione. Il piazzale antistante al Municipio, appena risistemato, dava una dignità maggiore al centro del paese. L’apparenza diventa sostanza e un palazzo istituzionale con il cortile rammodernato e la facciata appena rinfrescata comunica solennità, ispira fiducia, professionalità. Il maresciallo tolse il berretto e asciugò la fronte con il palmo della mano.
Sorrise pensando a quel tricolore che sventolava dall’alto dell’ufficio del sindaco. Gli vennero in mente gli alzabandiera alle scuole militari, i giorni della leva e persino gli ultimi mondiali di calcio. Fu un solo attimo, un secondo di distrazione, una pausa obbligata dalla tensione, dallo stress. Il rosso lo riportò subito al delitto e a tutto quel sangue, al sorriso di plastica del signor Mengoli. Conosco la legge… Conosco la legge… È il colmo per un assassino, pensò. Si guardò in giro e non vide nessuno. Controllò nuovamente e si sedette sul muretto della piazza proprio di fronte al Municipio, al tricolore. Prese il telefono cellulare e mentre scorreva la rubrica si ricordò del nodo alla cravatta. Si sistemò, si mise nuovamente il berretto in testa e cercò dentro di sé la forza e la dignità per ammettere la sconfitta al telefono con il Dottor Foggia. Esitò distratto dal drappeggio del tricolore agitato da un raro ma prezioso soffio di vento. Proprio in quella piazza aveva visto il signor Mengoli con altri artigiani sistemare i sampietrini pochi giorni prima. Proprio sotto la bandiera. Si alzò in piedi di scatto. Era assurdo, assurdo davvero. Passò con lo sguardo il piazzale cercando tra i sampietrini. Gli venne in mente l’odio del Mengoli nei confronti dei negri come egli stesso li aveva definiti. Guardò nuovamente il tricolore. Pensò a come una bandiera possa essere un simbolo sbagliato di nazionalismo esasperato fino a diventare odio, rabbia, giustificazione di un reato, di un omicidio. Signor Foggia sono il maresciallo. Abbiamo arrestato il signor Mengoli. Il cadavere è qui, sotto i miei piedi.
Sorrise pensando che avrebbe arrestato per la prima volta un assassino ai sensi dell’articolo 12 della costituzione.

#fancityliberinavigatori

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