UN’ ARCHITETTURA PER I SENZATETTO: sperimentazioni abitative
Per gli homeless, cioè le persone senza fissa dimora, sembra non esserci una soluzione in grado di limitarne la continua crescita e dispersione nelle nostre città, complice anche la dilagante crisi economica che ci sta investendo.
Chi amministra le città si trova inizialmente a sottovalutare il problema, in quanto ritenuto forse scomodo, ma solo dopo il verificarsi di tristi episodi, inizia a mostrare, con imbarazzante ritardo, un certo interesse e ad ammettere la presenza di un problema critico. Così, finiamo per sentire e vedere ogni giorno situazioni drammatiche: strutture totalmente disabitate che si trasformano in ricoveri di fortuna dotate di materassi,vecchi divani e stracci che diventano coperte.
Oggi è semplice ed accomodante, vedere e giudicare male chi vive questa realtà, ci mostriamo prevenuti a riguardo, abbiamo paura, gridiamo allo scandalo se non fosse che i nostri stessi sentimenti sfociano, il più delle volte, in un agghiacciante razzismo nei confronti di chi non sta bene. Eppure, quanti di noi si mettono nei loro panni e si chiedono come poterli aiutare? Chi mostra un reale interesse? Beh si, diciamolo, anche tempestivamente? Stiamo parlando di esseri umani, meno fortunati perché hanno perso tutto: affetti, cure, cibo, speranza ed una casa in cui rifugiarsi e stare protetti.
Ma, alcune volte, quando sembra che tutto stia per crollare, arrivano soluzioni sensibili per cercare di porre fine a tutto questo.
Un esempio di spiccata sensibilità e sperimentazione abitativa giunge da Londra: sfruttando edifici esistenti infatti, è stata proposta una soluzione per dare un ricovero a chi, di giorno e di notte, si trova emarginato in strada, soprattutto in inverno.
L’integrazione architettonica di queste abitazioni contenute può essere un primo passo per rendere più facile la vita delle persone disagiate che chiedono solo dignità.
Cristina Patanè