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Carnevale, economia, indotto e la città

Nella nostra città appare estremamente complesso e certamente arduo andare ad individuare, non solo la vocazione e la progettualità a lungo termine, ma anche quale volano economico può risollevare le sorti di un luogo che sembra aver perso tutte le speranze.

Le terme sono chiuse e l’asta, che doveva portare all’acquisto del patrimonio (debiti compresi) da parte della Regione Siciliana, per due volte è andata deserta. Altre pospettive di recuperare la struttura e renderla economicamente attiva non sono visibili neanche nel più lontano orizzonte. L’agrumicoltura, tranne alcuni esempi virtuosi ma di nicchia, langue e tanti appezzamenti sono abbandonati e lasciati ai rovi. La Timpa e le noste coste con le frazioni a mare non sono curate ma lasciate a languire sotto una coltre di spazzatura e di autoveicoli inferociti.

Al centro storico è tutto un degrado. Fili penzolanti, sporcizia diffusa, strisce blu del parcheggio che zigzagano nel caos e nell’inciviltà. Ogni cosa è lasciata all’autodisciplina (poca) e all’improvvisazione dei cittadini.

Non ho mai creduto che il carnevale potesse da solo essere un motore economico potente e di sicuro sviluppo per la città. Il carnevale non può essere tutto quello che una città offre e non può neanche da solo prendersi il peso di far ripartire lo sviluppo e la microeconomia. Ho sempre sostenuto che i numeri del carnevale, da almeno due decenni ad oggi, sono stati “farlocchi”. Numeri sparati a caso, dal milione di presenze, ai cinquecentomila fino ad arrivare alla presunzione di poter vendere centomila biglietti e diecimila abbonamenti.

Il carnevale di Acireale è oggi all’interno di una feroce guerra dei numeri, un conflitto che non avrà alcun vincitore ma tutti resteranno vittime di una dinamica che porterà certamente ad una drastica riduzione della manifestazione carnevalesca e, possibilmente, ad un’altra “vocazione” che andrà a finire come le altre. Nel nulla, nel silenzio accompagnata all’estinzione.

(mAd)

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