Cara mamma,
come stai? Io bene, su per giù.
Hai visto quanto è bello quel pezzo di carta colorata tutto dentellato attaccato alla busta? Papà mi ha spiegato che si chiama “francobollo”, e che è importantissimo perché, senza quello, la lettera non va da nessuna parte; allora gli ho chiesto di comprarne diecimila, anzi centomila, e di attaccarli tutt’intorno alla busta e anche dentro, così siamo sicuri che potrai leggerla. Lui però mi ha detto che uno è sufficiente, e siccome lui conosce tantissime cose, mi fido di quello che dice.
Mi manchi tanto tantissimo. Sul mio diario di scuola ho contato i giorni che sono passati dall’ultima volta che ci siamo viste: sono quarantasette. Lo so che ci sentiamo ogni sera prima che vado a letto, e la tua voce sembra bellissima come sempre, però dal telefono non puoi allungare le mani per accarezzarmi e non si sente il tuo odore! Poi papà si siede accanto a me sul letto, mi sorride e mi dice belle cose, però lo vedo sempre triste e tu manchi tanto pure a lui (anche se non gli piace dirlo: vuole sembrare sempre forte, lui).
Com’è il tempo, lì? Qui fa ancora tanto ma tanto caldo, però ho imparato dove guardare quando in televisione danno il meteo, e lì, nella parte alta dello stivale, dove ci sei tu, c’erano tante nuvolette grigie con la pioggia. Hai fatto bene a portarti quel cappotto verde pesante.
Ieri ho pianto per anni sotto le coperte quando ho saputo che ci potremo vedere solo a Natale, manca così tanto! Papà mi ha spiegato che gli aerei sono troppo costosi, e che, se tu sei a Milano per lavorare e guadagnare altri soldi, perché qui non ti fa lavorare nessuno, non puoi certo fare su e giù ogni settimana e sprecarli tutti.
Mi ha detto “stringiamo i denti”, ma a me risulta un po’ difficile perché me ne mancano due: uno di sopra e uno di sotto. Dentro la busta ho messo una foto che mi ha scattato la zia due giorni fa, così puoi vedere il mio sorriso tutto bucherellato.
La fatina quest’anno è stata un po’ troppo tirchia; all’inizio ci sono rimasta male, ma poi l’ho perdonata perché ho pensato che forse c’è crisi anche tra le fatine. Quindi ho scritto una letterina anche a lei dove l’ho ringraziata comunque per lo sforzo, e l’ho lasciata sul comodino prima di addormentarmi.
Mamma, mi manchi troppo! Papà cucina malissimo e la sua pasta è troppo acquosa, i pranzi della domenica a casa della nonna sono sempre tristi perché tutti chiedono di te e questo mi ricorda che manca ancora tantissimo tempo prima di rivederci.
A scuola abbiamo cominciato a studiare le regioni italiane e, quando ho chiesto alla maestra dov’è Milano, lei mi ha risposto che è lontanissima, dall’altra parte dell’Italia, che da lì alla Sicilia (lo sai che ha la forma di un triangolo?) ci sono migliaia e migliaia di chilometri. E mamma, non mi fraintendere, però sono stata un po’ felice perché ho pensato che tu hai deciso di trasferirti a migliaia e migliaia di chilometri lontano da noi per lavorare, solo perché ci vuoi bene, perché i soldi che guadagna papà non bastano e se no non possiamo pagare le bollette.
Sai cos’è successo oggi? Una cosa divertentissima. Tu adesso non mi puoi sentire ma sto ridendo ad alta voce, e papà si è affacciato dal corridoio per controllarmi e chiedermi perché rido così forte. Tu, anche se non mi puoi vedere ora, chiudi gli occhi e immagina la tua figlia piccola, alta un centimetro e mezzo in più rispetto a quando l’hai lasciata e con due denti di meno, seduta alla scrivania che c’è nella sua stanza che scrive e cancella di continuo (tranquilla, poi ricopio tutto in bella) e che ride da sola con la pancia che le fa male. Ecco, la cosa che sto per raccontarti è così tanto divertente.
Oggi papà ha preparato per pranzo pollo e insalata, però aveva tanta fretta nel cucinare: il pollo era buono, ma l’insalata… Quando l’abbiamo assaggiata, aveva un sapore stranissimo: quasi dolce. Non riuscivamo a capire quale fosse il problema, papà ha anche controllato la data di scadenza. E invece sai che c’era? Che lui ha confuso lo zucchero con il sale, ahahah, e quella lattuga aveva quasi il sapore di un dolcetto!
Visto? Scommetto che adesso stai ridendo anche tu. Quanto è sbadato!
Però mamma, torni, vero? Ci credo sempre quando me lo dici al telefono e sono disposta ad aspettare settimane e mesi e giorni, tu però promettimi che torni veramente, a un certo punto. Per sempre però!
Che uno di questi giorni ci vediamo e ci abbracciamo fortissimo come fanno nei film i fidanzati che abitano lontano.
L’altro giorno, quando ero dalla zia Lucia e lei non pensava che l’ascoltassi, l’ho sentita parlare di te, mentre era al telefono con qualcuno e si sventolava con il suo vecchio ventaglio nero che tiene sempre con sé: diceva che è certa che non tornerai più, che dove sei tu è cento volte meglio di qua, che ti stancherai di papà e possibilmente ti sei già trovata un uomo milanese, o almeno questo è quello che ho capito del suo discorso, perché il siciliano per me è troppo difficile da capire.
Ne ho parlato con papà, e lui dice che la zia si inventa le cose tanto per parlare di qualcosa con le sue amiche, e che tu non faresti mai una cosa del genere, che piango per niente.
Io gli credo; piango lo stesso però, perché se penso alle parole della zia mi tremano un pochino le mani e sento un dolore dentro alla gola, e non riesco a fermarmi; e anche se papà mi abbraccia e prova a calmarmi, io vorrei che ci fossi anche tu insieme a lui, così saremmo completi.
(Papà mi ha detto che a fine anno chiedi un “trasferimento” e, se le persone lì sopra sono buone, possono anche dirti di sì. Che ne dici se scrivo una lettera anche a loro, per convincerli?)
Mamma, dentro questa busta ti mando millemila baci e tanti tanti abbracci. Adesso però ti saluto perché devo andare a studiare geografia, e il Piemonte ha tantissimi capoluoghi da imparare a memoria.
Quando torni facciamo le frittelle.