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ACIREALE, “LE GIORNATE DELLA CULTURA” CON SCIASCIA

 “SCIASCIA: LA SICILIA, LA MEMORIA, IL SUO CUORE”, organizzato dalla Città di Acireale, nell’ambito de “Le giornate della cultura”.  Ieri (05/03/2017) al Palazzo di Città il pensiero di Leonardo Sciascia, scrittore e intellettuale siciliano, a quasi 30 anni dalla sua scomparsa, è stato sviscerato dai docenti dell’Ateneo catanese Antonio Di Grado e Giuseppe Savoca e dal giornalista Felice Cavallaro, riuniti dal deputato regionale acese Nicola D’Agostino.

 

«Ringrazio gli ospiti autorevoli, – ha detto, accogliendo i presenti, l’assessore alle Attività Culturali Antonio Coniglio- .Dal punto di vista di un amministratore pubblico Sciascia ci invita a riflettere sul ruolo del potere, sulla relatività della politica e ci invita a riflettere sul “professionismo della politica”. Fu una riflessione alta sullo stato di diritto, sulla separazione dei poteri, sul fatto che fare politica non è fare il pubblico ministero o fare il giudice, significa governare e guai se c’è una confusione dei poteri perché questo determina un’involuzione culturale alla quale non possiamo rassegnarci. Oggi in questa città si apre una riflessione autentica su questo intellettuale e sull’illuminismo siciliano, di cui abbiamo disperato bisogno».

Ha introdotto i lavori il deputato regionale Nicola D’Agostino:

«Abbiamo cominciato il percorso delle Giornate della Cultura, in segno di rispetto per la legalità, intitolando una piazza a Peppino Impastato – ha detto il deputato –, andando oltre la retorica, ma testimoniando il nostro impegno nella lotta alla mafia che non si fa soltanto così, ma con il lavoro quotidiano fatto in questi tre anni, correndo anche il rischio di minacce e ritorsioni ma contribuendo a ripristinare la legalità. Stasera discutiamo insieme di Sciascia, il più grande scrittore italiano del dopoguerra, fine osservatore e commentatore della nostra storia recente, grande erudito, poeta opinionista e giornalista sui generis, per capire meglio chi è Leonardo Sciascia. A Sciascia credo sarebbe piaciuto che si continuasse a parlare di lui al presente per il ruolo che attribuiva agli scrittori “veri custodi della memoria”. Ricordare serve a non banalizzare, a non essere ostaggio della retorica, a capire e ad approfondire. Avvertiva tutti noi dei pericoli dei suoi tempi che continuano ad essere i nostri tempi: la mafiologia, i miti contemporanei, i pedanti intellettuali di regime, il conformismo giornalistico e politico».

 

 

 

Se è vero che i temi civili come la mafia o la giustizia sono il cuore della sua opera, Antonio Di Grado, ordinario di letteratura italiana, ha tracciato il profilo di uno Sciascia molto più complesso: «I temi civili di Sciascia vanno letti e decifrati attraverso lo strumento della letteratura e se il tema della giustizia è il cuore di Sciascia lo è nell’accezione più ampia della coscienza del singolo. Nonostante si dica che fosse un illuminista, lui si riferiva al Manzoni del processo agli untori e dunque è un illuminismo molto più complesso. Sciascia ci ha sempre dato chiavi di lettura diverse era questa la sua funzione di uomo contro e demistificatore».

La complessità di Sciascia lo colloca ben distante dalla contraddizione più semplice, la manichea, ha sottolineato Giuseppe Savoca, docente emerito di letteratura italiana moderna e contemporanea, nel suo intervento: «Sciascia sapeva che la Sicilia aveva conquistato l’Italia anche esportando la mafia, profetizzava che nel 2050 con l’emigrazione giovanile la popolazione siciliana si sarebbe ridotta ad un terzo e il suo “cuore” è l’atteggiamento di chi scende profondamente nel guazzabuglio dell’animo umano, tra la verità effettuale e il sogno».

A conclusione Felice Cavallaro, giornalista del Corriere della Sera, ha riportato a galla la drammaticità della denuncia sciasciana: «C’è un’attualità del pensiero di Sciascia drammaticamente provato da quanto accade da diverso tempo, il tentativo di usare il mondo dell’antimafia, da parte di alcuni, come un potere per accrescere la propria visibilità, per trarre qualche beneficio o qualche fonte di arricchimento. Tutto questo è accaduto nella politica, nel giornalismo, nei palazzi di giustizia e avvelena il pianeta antimafia e lo scarnifica, come il guscio di un uovo svuotato di albume e tuorlo. La parola antimafia spesso è stata usata impropriamente perfino dai mafiosi e si rischia un allontanamento sempre maggiore da chi davvero fa una battaglia antimafia».

(red)

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