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Piccola storia di Jaci – C’era una volta un economia ad Acireale , dott. Saro Il Grande , 1998

Pubblichiamo dal libro del Dott. Saro Il Grande, “Spigolando nella memoria”, un articolo pubblicato in un noto settimanale locale in data 13 ottobre 1998. Una riflessione sullo stato di regresso della città e delle sue attività industriali , sulla mancata applicazione dello Statuto della Regione Sicilia e il pericolo di chiusura delle Terme

Signor Direttore questo ciclo di mie riflessioni lo avevo intitolato “Acireale dove sei? Acesi dove siamo?” ed  Ella sul suo settimanale aveva intitolato “Acireale in vendita?” Oggi dopo che l’assessore si è affrettato a smentire l’intenzione di vendere le Terme ed un suo collega di partito, in una intervista concessa ad una emittente locale ha,  invece, confermato di spingere in tal senso, non ci resta che attendere: chi vivrà vedrà. Ciò non toglie che chi  in questa città è nato, in questa città è vissuto, con questa città ha gioito e sofferto, tempi belli e tempi meno belli, non può sopire riflessioni amare che spontanee si affaciano al suo cervello.

Queste riflessioni le intitolerò allora: “C’era una volta…”. Già c’era una volta all’ingresso sud di Acireale un’industria molitoria con annesso pastificio. era il molino “Samperi”. Nei primi anni venti, così mi raccontava mio padre, lo stabilimento andò a fuoco. Con sacrifici, anche delle maestranze, molto qualificate, il pastificio riprese e durò fino agli anni quaranta e oltre. Del mulino non si parlò più. C’era una volta il mulino e pastificio “Leonardi”, uno dei quali. il cav. del lavoro Venerando Leonardi, lo curò con particolare zelo e capacità manageriale, ben voluto ed amato dalla città e dalle maestranze tenne alto il prestigio di Acireale in questo settore, fino a quando la malattia non lo costrinse ad abbandonare; poi sopraggiunse la morte, e fu la fine.

Queste industrie non sono state sostenute nel dopoguerra nè dall’ I.R.I. nè da altri enti similari come avvenne per la “Barilla”, per la “Buitoni”, La “Motta” etc. C’era una volta l’industria conciaria delle pelli, era florida e dava lavoro a maestranze qualificate. Anche in questo campo, lo Stato, nel dopoguerra, per la Sicilia è stato assente.

Se poi andiamo a tempi più remoti, c’era l’industria della seta, C’era un fiorente artigianato del ricamo “ultimo dei ricamatori in oro, Giuseppe Messina, che tra l’altro ricamò ed esegui il magnifico gonfalone della nostra città, rinunzio all’insegnamento ( era maestro elementare) ed impegnò tutta la sua famiglia nel ricamo d’arte.

Ma c’erano collegi di suore e ricamatrici private che di quest’arte fecero la loro vita e la rinomanza della nostra città.

Ma c’era una volta l’agrumicoltura.

Era la fonte primaria di vita e di sviluppo della nostra città. La qualità del prodotto era ed e’ invidiabile. Ma i sostegni del governo si sono fermati nel garantire la distruzione sotto i cingoli di ruspe e di carterpiller. C’era una volta il monetario dei Floristella che gli esperti di tutto il mondo ci invidiavano. 

C’era il grande albergo dei bagni che il comando tedesco, lasciata la città distrusse (aiutati da tanti acesi che saccheggiarono i locali, aggiungerei) . E c’erano il Collegio Pennisi, collegio di S. Rosalia, il conservatorio delle Vergini di via Dafnica, il collegio Santonoceto, che portavano ad Acireale studenti e linfa da tutta la Sicilia e dall’Italia Meridionale. Ognuna di queste realtà meriterebbe una riflessione a parte, e non è detto che queste riflessioni noi non le svilupperemo. L’autonomia regionale siciliana sostenuta da uno statuto che è nella costituzione della Repubblica Italiana , che ha quasi dignità di statuto federale, per una regione, come la nostra, che nella sua storia ha più che dignità da vantare, non è stata capace di garantirci quello che uno stato nazionale ha garantito al cosiddetto “triangolo industriale” (ultimo esempio la rottamazione per la FIAT). A distanza di più che cinquantanni, le norme più qualificanti dello Statuto non sono state applicate. Con Discutibili decisioni, la cui valenza costituzionale resta tutta da dimostrare e che un discutibilissimo ascarismo nostrano sopporta e subisce, questa Sicilia deve ancora più subire le invettive di un separatismo bossiano che le attribuisce le responsabilità dei ruoli di cui questa martoriata terra soffre dimenticando che dall’Unità d’Italia ad oggi è stata condannata ad un servaggio di tipo coloniale. Eppure in una trasmissione a carattere nazionale il sindaco di Venezia auspicava per il nord-est concessioni regionale come quelle dello Statuto regionale siciliano, aggiungendo “purchè le sue norme siano rese operative”. Il capitolo della Autonomia regionale, che non ha un Bossi, che forse lo ha avuto e non lo ha compreso in Finocchiaro Aprile ed in Giuseppe Alessi, incita tutto un discorso a parte. Per ora voglio chiudere queste mie riflessioni sperando di non dover dire domani c’erano una volta le Terme regionale di Acireale o meglio quel che ce le rende più care le Terme di Santa Venera. 

Con un ringraziamento particolare la saluto cordialmente

Dott. Rosario Il Grande

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