La parola femminicidio ha origini molto recenti: solo nel 1992 Diana Russel, con il termine “femmicidio”, ha definito una violenza estrema da parte dell’uomo contro la donna «perché donna». Subito dopo è stata la messicana Marcela Lagarde a battezzare quello stesso fenomeno con la parola ‘femminicidio’. Secondo l’ultimo rapporto annuale delle Nazioni Unite, presentato dalla relatrice speciale Rashida Manjoo il 25 giugno 2012, “a livello mondiale, la diffusione degli omicidi basati sul genere ha assunto proporzioni allarmanti”. Tali omicidi, prosegue il rapporto, sono “culturalmente e socialmente radicati, continuano ad essere accettati, tollerati e giustificati, laddove l’impunità costituisce la norma”.
Le donne muoiono principalmente per mano dei loro mariti, ex-mariti, padri, fratelli, fidanzati o amanti, innamorati respinti. Insomma per mano di uomini che avrebbero dovuto rappresentare una sicurezza.
I numeri in Italia sono impietosi: muore di violenza maschile una donna ogni due o tre giorni. Ma questi sono appena un’approssimazione: non esiste, infatti, un monitoraggio nazionale che metta insieme i dati delle varie associazioni con gli sforzi dei volontari fai-da-te e con quelli delle istituzioni che a diverso titolo hanno a che fare con la violenza contro le donne.
Sono 179 i femminicidi registrati nel 2013. Un anno nero, con la più elevata percentuale di donne tra le vittime di omicidio mai registrata in Italia, in pratica una ogni due giorni. Rispetto alle 157 del 2012, le donne ammazzate lo scorso anno sono aumentate del 14%. I dati sono contenuti nel secondo rapporto Eures sul femminicidio in Italia. Aumentano i casi avvenuti in ambito familiare, che passano da 105 a 122 (+16%).
Per 10 anni quasi la metà dei femminicidi è avvenuto al Nord. Dal 2013 c’è invece stata un’inversione di tendenza sul piano territoriale ed il Sud è diventata l’area a più alto rischio con 75 vittime ed una crescita del 27,1% sull’anno precedente.
L’11 maggio del 2011 il Consiglio d’Europa ha varato la Convenzione di Istanbul, il primo strumento giuridicamente vincolante per gli stati in materia di violenza sulle donne e violenza domestica. Al suo interno sono espresse misure per la prevenzione della violenza e per la protezione delle vittime, oltre ai i procedimenti penali per i colpevoli; la convenzione, inoltre, definisce e criminalizza le diverse forme di violenza contro le donne tra cui il matrimonio forzato, le mutilazioni dei genitali femminili, lo stalking, le violenze fisiche e psicologiche e la violenza sessuale. Ventinove Paesi hanno firmato la convenzione di Istanbul, compresa l’Italia, ma solo quattro l’hanno ratificata. L’entrata in vigore è condizionata dalla ratifica di almeno dieci Paesi, di cui otto appartenenti all’Unione Europea
In Italia il 25 novembre scorso, giornata internazionale contro la violenza sulle donne, una cordata di diverse associazioni unite per affrontare l’emergenza femminicidio in Italia, ha presentato la convenzione NO More! una proposta politica unitaria che richiama le istituzioni alla loro responsabilità e agli atti dovuti, per ricordare che tra le priorità dell’agenda politica, la protezione della vita e della libertà delle donne non può essere dimenticata e disattesa.