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sabato, Maggio 18, 2024
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Eco e Narciso

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Narciso era figlio della ninfa Liriope e del fiume Cefiso che, innamorato della ninfa, la avvolse nelle sue onde e nelle sue correnti, possedendola. Da questa unione nacque un bambino di indescrivibile bellezza e grazia. La madre, poichè voleva conoscere il destino del proprio figlio, si recò dal vate Tiresia per sapere il suo futuro.

Tiresia dopo aver ascoltato le richieste di Liriope le disse in tono greve che suo figlio avrebbe avuto una lunga vita se non avesse mai conosciuto se stesso. Liriope, che non comprese la profezia dell’indovino, andò via e con il passare degli anni dimenticò quanto gli era stato profetizzato.

Gli anni passarono veloci e Narciso cresceva forte e di una bellezza tanto dolce e raffinata che tutte le persone che lo rimiravano, fossero esse uomini o donne, si innamoravano di lui anche se Narciso rifuggiva ogni attenzione amorosa. Si racconta della sua insensibilità e vanità tanto che un giorno regalò una spada ad Aminio, un suo acceso spasimante, perchè si suicidasse e Aminio tanto era grande il suo amore per Narciso, si trafisse il cuore sulla soglia della sua casa.

Si narra che la sposa di Zeus, Era, la cui gelosia era nota a tutti gli dei e a tutti i mortali, era sempre alla ricerca dei tradimenti del marito e sfortuna volle che un giorno si rese conto che la compagnia e le continue chiacchiere della ninfa Eco, altro non erano che un modo per tenerla a bada e distrarla per favorire gli amori di Zeus dando il tempo alle sue concubine di mettersi in salvo. Grande fu la sua rabbia quando apprese la verità e la sua ira si manifestò in tutta la sua potenza: rese Eco destinata a ripetere per sempre solo le ultime parole dei discorsi che le si rivolgevano.

Racconta Luciano (Epigrammi “A una statua di Eco”)

Questa è l’Eco petrosa amica di Pane,
Che rimanda, ripete le parole,
E ti risponde in tutte le lingue umane;
E più scherzare coi pastori suole.
Dille qualunque cosa, odila e poi
Vanne pei fatti tuoi.

Un giorno mentre Narciso era intento a vagare nei boschi e a tendere reti tra gli alberi per catturare i cervi, lo vide la bella Eco che, non potendo rivolgergli la parola, si limitò a rimirare la sua bellezza, estasiata da tanta grazia. Per diverso tempo lo seguì da lontano senza farsi scorgere e Narciso, intento a rincorrere i cervi, nè si accorse di lei nè si accorse che si era allontanato dai compagni e aveva smarrito il sentiero. Iniziò Narciso a chiamare a gran voce, chiedendo aiuto non sapendo dove andare. A quel punto Eco decise di mostrarsi a Narciso rispondendo al suo richiamo di aiuto e si presentò protendendo verso di lui le sue braccia offrendosi teneramente come un dono d’amore e con il cuore traboccante di teneri pensieri. Ma ancora una volta la reazione di Narciso fu spietata: alla vista di questa ninfa che si offriva a lui fuggi inorridito tanto che la povera Eco avvilita e vergognandosi, scappò via dolente. Si nascose nel folto del bosco e cominciò a vivere in solitudine con un solo pensiero nella mente: la sua passione per Narciso e questo pensiero era ogni giorno sempre più struggente che si dimenticò anche di vivere e il suo corpo deperì rapidamente fino a scomparire e a lasciare di lei solo la voce. Da allora la sua presenza si manifesta solo sotto forma di voce, la voce di Eco, che continua a ripetere le ultime parole che gli sono state rivolte. Gli dei vollero allora punire Narcisco per la sua freddezza e insensibilità e mandarono Nemesi, dea della vendetta, che fece si che mentre si trovava presso una fonte e si chinava per bere un sorso d’acqua, nel vedere la sua immagine riflessa immediatamente il suo cuore iniziò a palpitare e a struggersi d’amore per quel volto così bello, tenero e sorridente.

Racconta Ovidio (Metamorfosi III, 420 e segg.):

Contempla gli occhi che sembrano stelle, contempla le chiome degne di Bacco e di Apollo, e le guance levigate, le labbra scarlatte, il collo d’avorio, il candore del volto soffuso di rossore … Oh quanti inutili baci diede alla fonte ingannatrice! … Ignorava cosa fosse quel che vedeva, ma ardeva per quell’immagine …”

Non consapevole che aveva di fronte se stesso, ammirava quell’immagine e mandava baci e tenere carezze e immergeva le braccia nell’acqua per sfiorare quel soave volto ma l’immagine scompariva non appena la toccava.

Rimase a lungo Narciso presso la fonte cercando di afferrare quel riflesso senza accorgersi che i giorni scorrevano inesorabili, dimenticandosi di mangiare e di bere sostenuto solo dal pensiero che quel malefico sortilegio che faceva si che quell’immagine gli sfuggisse, sparisse per sempre.

Alla fine morì Narciso, presso la fonte che gli aveva regalato l’amore anelando un abbraccio dalla sua stessa immagine.

Quando le Naiadi e le Driadi andarono a prendere il suo corpo per collocarlo sulla pira funebre si narra che al suo posto fu trovato uno splendido fiore bianco che da lui prese il nome di Narciso.

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