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sabato, Ottobre 5, 2024
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Il cinema…ma quanto mi era mancato!

Come sempre avviene, quando qualcosa non è più data per scontata, allora la si apprezza e la si desidera di più. Ed è ciò che è avvenuto a me, dopo una lunghissima pausa di sette mesi che ha costretto i cinema a chiudere per la seconda ondata della pandemia da Covid 19.

Per molti ciò non ha pesato affatto: oggi abbiamo a portata di click ogni offerta cinematografica possibile fornita dalle piattaforme dai nomi più disparati. Per altri, invece, ciò ha pesato tantissimo e io mi inserisco a pieno titolo in questa seconda categoria. Con ogni probabilità avrà influito la visione in età adolescenziale del film “Nuovo Cinema Paradiso”, chi può dirlo, sta di fatto che per me la sala cinematografica resta un luogo magico, quasi catartico, a cui davvero non riesco, ormai da diversi anni, a rinunciare. E tra i piaceri scoperti con la maturità, vi è anche quello di andarci da sola, osservare gli altri -sempre di meno e sempre meno giovani- che si lasciano ancora incantare da questo luogo, esattamente come me.

Ma il cinema io lo intendo proprio alla vecchia maniera, sempre per rifarmi al celebre film, vincitore di un premio Oscar, di Tornatore, ovvero un luogo che deve avere una sua storia, deve essere gestito da persone che lo amano veramente e lo custodiscono come un figlio. Non riuscirei a vedere un film in un “multiplex cinestar” o come si chiamano adesso, di quelli che si trovano all’interno di un centro commerciale, piuttosto meglio una qualunque piattaforma a casa. Al cinema io ci devo trovare il sorriso di chi mi accoglie e mi conosce – Luca o Maurizio che se arrivo in ritardo mi invitano ad entrare e a non perdere tempo a fare il biglietto, che posso poi recuperare tra il primo e il secondo tempo, oppure all’uscita, o le simpatiche (si fa per dire) frecciatine di Salvo (Pennisi, il titolare ndr) che appena mi vede arrivare, da verace interista qual è, ha già pronto qualche sfottò ai danni della mia cara vecchia signora. Come avrete capito, quell’atmosfera familiare che solo una vecchia sala all’interno di un cinema in un centro storico ti più regalare, io riesco a trovarla soltanto al Margherita di Acireale. La mia non è pubblicità (vi garantisco che non ne sanno niente e non mi hanno promesso nulla), ma quasi un appello verso gli abitanti di questa città, affinché non abbandonino questo luogo: l’unico cinema all’interno di un luogo che fa più di 40 mila abitanti!

Ci è rimasto solo il Margherita, in una città che nel corso dei decenni ha perso, oltre ad altre sale cinematografiche, anche importanti e prestigiosi teatri. E ciò, oltre a rappresentare una sconfitta per noi cittadini e per chi ci ha preceduto, per non essere stati in grado di tutelare un patrimonio del passato, è anche una sconfitta in termini culturali: diminuiscono le sale cinematografiche e i teatri, mentre aumentano le sale scommesse. Facciamoci quattro conti e tiriamo le dovute conclusioni.

Detto ciò, vi racconto brevemente il film che ho visto e, se non lo avete fatto, vi invito a vederlo entro stasera, ultimo data disponibile.

Ho visto il film “Il poeta cattivo”, incentrato sugli ultimi due anni di vita di Gabriele D’Annunzio.
Siamo nel 1936 e il Vate (interpretato da Sergio Castellito) è ormai anziano, stanco, la caricatura di sé stesso, dei suoi fantasmi, delle sue ossessioni, dei suoi vizi e abusi. Tuttavia, da uomo coltissimo e visionario al tempo stesso qual è, riesce sempre ad essere lucido e sempre più critico verso quel regime a cui lui sente di appartenere e che, a sua volta, deve a lui tantissimo (Mussolini prima ancora di arrivare al potere, era ammirato dal poeta vate, dalla sua impresa su Fiume -ammirato anche da Lenin per questo, tanto da definirlo “il più rivoluzionario degli italiani del suo tempo”-, e sempre da lui apprese la tecnica retorica di parlare alle folle da un balcone). Quel regime che come D’Annunzio stesso afferma, ha portato, una volta ottenuto il potere al “tradimento degli ideali, della passione autentica”, quel regime che se “a molti oggi sembra grandezza altro non è che prepotenza”, quel regime, ancora, che rischia di scavarsi la fossa con le sue stesse mani se dovesse allearsi con Hitler, da D’Annunzio definito “un ridicolo nibelungo truccato alla Charlot”. Perché culturalmente l’Italia dovrebbe allearsi con altri popoli del mediterraneo e non con i “barbari” del nord.

D’Annunzio ha il coraggio di dirle queste cose a Mussolini -anch’egli l’ombra e la macchietta di sé stesso- pronosticandogli il suo futuro “Memento mori”. E il duce e il regime iniziano a temerlo e a farlo controllare, là nel suo immenso palazzo sul Garda, che è il Vittoriale degli italiani, opera dispendiosa e mai completata, espressione delle manie di grandezza di D’Annunzio mai appagate, nonché suo esilio volontario dopo la disfatta di Fiume. Ed è proprio qui che gran parte di questo bellissimo film, scritto e diretto dal regista napoletano Gianluca Jodice al suo esordio con un lungometraggio, è stato girato. Una fotografia perfetta all’interno di un luogo che rappresenta grandezza e decadenza al tempo stesso, unite ad una recitazione impeccabile dovuta alla scelta di attori abituati a lavorare in teatro rendono questa pellicola davvero gradevole.


E certamente, uscendo dalla sala, una riflessione mi sovviene. I politici dovrebbero ascoltare un po’ di più gli intellettuali del loro tempo: più poeti, scrittori, filosofi e meno economisti. I primi hanno gli strumenti per interpretare il presente e, da visionari, predire il futuro, probabilmente perché conoscono alla perfezione il passato.


(Valeria Musmeci)

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