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La disuguaglianza, i vulnerabili e l’autoritarismo.

Siamo dentro la crisi più difficile che si sia mai conosciuta nel mondo occidentale capitalista. Una crisi esportata dagli USA nel 2007 che è iniziata con la questione subprime e che ha investito l’Europa riducendo le classi sociali e azzerando la piccola borghesia e i piccoli risparmiatori.  Iniziava un lungo e durissimo periodo di crisi, così che nel 2012 arriva il «Fiscal compact»: il trattato sulla stabilità frutto dell’incontro mortale tra UE e finanza criminale che ha condotto i governi nazionali a sottoscrivere un vero patto con il diavolo chiamato (con finta virtù) pareggio di bilancio. Le regole sociali vengono, quindi, trasformate in normative economiche, la povertà è cresciuta, il pianeta in fiamme per gli 80 conflitti in atto, il lavoro sempre meno remunerato, malpagato e le regole “cinesi” del lavoro sono state chiamate “delocalizzazioni”. Ed ancora, con  l’inserimento nella comunità europea di alcuni Stati dell’Europa orientale il capitalismo ha trovato nuove praterie dove sfruttare il lavoro e schiavizzare la classe operaia. Da anni anche chi ha un lavoro è povero e pieno di debiti. Una crisi difficile che ancora non lascia la presa e che morde talmente forte tanto da trasformare il bisogno dei “vulnerabili” che trova rifugio e conforto (irreale e spasmodico) nell’autoritarismo.

E’ sempre stato così. Nella Germania di Hitler così come nell’Italia di Mussolini i due dittatori sono giunti al potere grazie ad una fortissima spinta popolare. Hitler era il simbolo della Germania che si doveva riscattare dalla dura sconfitta subita nella prima guerra mondiale, che voleva tornare ad essere forte e uber alles. In Italia quando il Duce sparava le sue balle nazional popolari, intorno a se la folla boccheggiava eccitata. “Ricostruiremo l’Impero Romano” e la gente si bagnava le mutande, poi siamo andati in guerra e ci hanno riempito di botte.

Oggi in Europa e in USA con la crisi della “governance politica” mondiale e con l’agonia del capitalismo sono riapparsi i populismi, i nazionalismi e “i vulnerabili” sono alla ricerca dell’uomo forte, del condottiero che guida il cocchio trionfante verso la vittoria. Una vittoria, però, che sa tanto di guerra tra poveri. Ed ecco che i migranti non sono uomini, donne, vecchi e bambini che scappano dall’inferno ma criminali che vogliono riempire di malaffare le nostre pessime e degradate città. Come se le periferie, gli agglomerati suburbani non fossero già  pieni di italiani che delinquono in maniera organizzata; da Scampia a Librino, dallo Zen a qualsiasi periferia italiana.

In Italia il nazionalismo cresce ma non in misura preoccupante perché, da noi, il Movimento 5 Stelle ha riempito quel vuoto di uguaglianza sociale con formule che, essenzialmente, si sono poggiate su due colonne: riduzione dei privilegi ai politici e onestà. Possiamo dire che il populismo italiano è certamente il migliore (meno peggio) rispetto agli altri Paesi dell’Europa occidentale ma ugualmente potrebbe diventare pericoloso. La spia rossa di pericolo infatti inizia a lampeggiare quando il M5S spinge su alcuni temi che sanno tanto di giustizialismo, giacobinismo e poca comprensione delle basi della democrazia. Due su tutti: il finanziamento pubblico ai partiti e il finanziamento pubblico alla stampa. Su questi temi il M5S sbaglia. Finanziare con modalità pubblica i partiti è giusto ed importante. Senza fondi pubblici ai partiti aumenterebbe la corruzione politica e scomparirebbero quelle organizzazioni politiche che non hanno finanziatori potenti legati, quasi sempre, a lobby e interessi privati e di casta (leggi ordini professionali).  Stessa cosa per il finanziamento pubblico alla stampa. In Italia, fortunatamente, ancora in edicola troviamo una quantità importante di quotidiani, riviste, settimanali. Nella scelta delle opinioni e delle visioni si compie la democrazia e non condannando chi la pensa diversamente come venduto o pennivendolo (neologismo a 5 stelle).

Il numero consistente di elettori del M5S sono quindi “i vulnerabili”. Quelli che si sono sentiti traditi da tutti e che adesso aspettano nel panorama politico qualcosa di forte e squassante. Sento ancora la eco del tuono di Grillo quando affermò:  “apriremo il Parlamento come una scatoletta di tonno”.

Il bisogno di uguaglianza è fortissimo in Italia come in Europa ed è talmente assordante l’urlo di rabbia che non potrà che sconvolgere la dimensione democratica di questa parte del mondo. Non sono utili gli appelli all’attenzione che si deve porre per un temibile ritorno ai “fascismi”, si rende, invece, indispensabile (ma anche utile) che la politica riprenda il primato nella scala gerarchica e che metta la finanza nel posto che merita; ovvero in un recinto politico e giuridico che ne limita i poteri e che  la renda utile per le società liberal/liberiste/democratiche. In fin dei conti la politica europea non dovrebbe far altro che riprendere e rivalutare (aggiornandola) la politica sociale, fortemente democratica, inclusiva, rispettosa di ogni credo religioso, di ogni etnia, di ogni orientamento culturale.  Ma le cose non sembrano andare in questa direzione e l’elezione di Trump in USA è chiaramente un segnale che tra autoritarismo e governance il popolo sceglie l’autoritarismo e la deriva populista.  I governi nazionali sono diventati i secondini armati dell’iperliberismo finanziario, un dato storico che fa incazzare milioni di persone in tutto il mondo occidentale e che porterà ad una crisi ancora più dura e violenta.

(mAd)

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