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venerdì, Maggio 3, 2024
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LA PROMESSA, di Roberta P.

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Mara entrò in casa tremante e a piccoli passi si diresse verso la cucina. Fabiana e Asia asciugavano i piatti e intanto scherzavano ridendo. Mara rimase sulla porta. Quando le due la videro si precipitarono su di lei.
Teneva le mani insanguinate strette fra loro come a proteggersi il cuore, macchiando l’impermeabile bianco che indossava. “Dio mio, che ti è successo?”
Fabiana l’abbracciò e la sentì tremare, quindi la fece accomodare sul divano in salotto. Sul tavolino le due sorelle notarono un coltello insanguinato. Dopo qualche minuto durante i quali cercarono di farla calmare, si fecero raccontare cosa le fosse accaduto. “Aveva alzato la voce, e mi aveva picchiata di nuovo.”
“Di nuovo?” domandò Fabiana. Asia la fissò. “Lasciala finire.” Mara riprese: “Ho preso la prima cosa che ho trovato e l’ho colpito.” Dopo una mezz’ora di racconto, Asia cercò di tranquillizzarla. “Ascoltami, è stato un incidente, non volevi farlo.”  “Tu lo sapevi?”, domandò Fabiana con un pizzico di ribrezzo nella voce.
“Non è il momento”, disse la sorella maggiore scandendo bene le parole. Allora Fabiana si alzò, inclinò il viso e domandò: “E quando sarebbe il momento?” “Non ora. Non vedi che è sconvolta?” “Certo che lo è! La picchiava, tu lo sapevi e non hai fatto niente!”  “Basta!”, esordì a voce alta Mara.
Le due sorelle la fissarono farsi piccola sul divano.  Sembrava stesse per scoppiare dalla collera, invece disse solo: “Dobbiamo andare alla polizia, e raccontare cos’è successo.” Asia non disse niente. Fabiana si sedette sul divano vicino alla sorella minore.  Le raccolse i capelli su una spalla, e disse: “Ora ascoltami: è di estrema importanza che quello che ci hai raccontato stasera non esca mai da questa casa.” Mara la fissò, gli occhi arrossati dal pianto.  “Non è possibile…”
“Lo so come ti senti, credimi, ma io non permetterò a nessuno di farti del male. Non doveva neanche azzardarsi a fare quello che ti ha fatto.”  Mara pianse di nuovo.
“C’è qualcos’altro che non vi ho detto.” Le due sorelle maggiori si guardarono quindi riposarono lo sguardo su Mara che riprese, se pur con difficoltà, a raccontare.  “Il vicino di casa…” disse cercando lo sguardo di Fabiana. “Lui mi ha vista.” “Come sarebbe a dire?”  “Credo abbia sentito urlare. La porta non era chiusa a chiave, ed è entrato. Mi ha vista.” “Ne sei sicura?”, domandò Asia.
Lei annuì. Poi pianse di nuovo.  “E a questo punto cosa consigli di fare?”, domandò allora Asia.  Fabiana la fissò, poggiò le mani sulle ginocchia, e si alzò in piedi. “C’è un’unica soluzione”, disse imponendosi con le mani sui fianchi.  Le altre due attesero. “Dobbiamo uccidere anche lui.” Asia stralunò gli occhi.
“Cosa ti salta in mente? Sei completamente impazzita? Come puoi anche solo pensare una cosa del genere?”, domandò quasi con un nodo alla gola.  “È l’unico modo, non capisci? O forse preferisci che nostra sorella vada in prigione?” “Certo che no, ma neanche diventare un’assassina!”
Fabiana annuì.  “È per una buona causa. Stiamo salvando nostra sorella, i tuoi scrupoli mettili da parte per qualcun altro.”  Asia si avvicinò a sua sorella. “Scrupoli? Ti rendi conto di quello che stai dicendo? Agendo in questo modo non fai che complicare la situazione!”  “Allora tu cosa proponi? Aspettare che il vicino di casa vada a denunciare Mara alla polizia?”  “È stata legittima difesa.” “E questo chi lo confermerà?”
Fabiana fissò sua sorella più piccola. “È entrato prima o dopo che tu colpissi Marco?”
La ragazza esitò. “Dopo.”  Fabiana ritornò con lo sguardo su Cinzia, ed espresse ovvietà.
“Lui non può sapere che Marco la picchiava, e anche grazie a te se non c’è nessun testimone.”
“Non azzardarti a darmi la colpa!” “Tu lo sapevi che la picchiava! Avresti potuto dirmelo!”
“Che cosa avresti fatto?” “Scherzi, vero?”, domandò quasi offesa. “Di certo non avrei permesso che quello schifoso si avvicinasse ancora a lei!” “Ragazze!” le interruppe Mara. “Non voglio che litighiate, vi prego. Mi sento già abbastanza male senza che bisticciate a causa mia.”
“Non è colpa tua”, la rassicurò Fabiana. “Ho promesso a mamma e a papà che avrei protetto la mia famiglia, ed è proprio quello che intendo fare.” Fece una pausa: “Potete essere con me o no, ma ad ogni modo questa cosa la faccio. Con o senza di voi.”
Infine recuperò il coltello dal tavolino. Fece per andare in garage quando Asia la richiamò.
“Dove vai?”
Fabiana si bloccò e si voltò: “Vado a prendere il materiale che mi serve. Se è come penso io, non ha ancora denunciato Mara”, fece una pausa. “In caso cambiaste idea, verso l’una di questa notte compirò ciò che devo fare.”
Poi aprì la porta del garage e scendendo le scale, svanì nel buio.
Quella stessa sera Fabiana recuperò il coltello che aveva ripulito dalla impronte di sua sorella, e dal sangue del cognato.
Stava per salire in auto quando qualcuno l’afferrò per un braccio.
Stava dimenandosi quando si accorse che era Asia.
“Allora sei decisa?”
Fabiana si liberò dalla presa. “Certo che sì.”
Asia annuì. “Mara sta dormendo”, fece una pausa “Io vengo con te.”
Fabiana la fissò a lungo. Poi sorrise.
“Grazie per essere dalla mia parte.”
Asia sorrise appena e disse: “Sono tua sorella.”
“Ti ringrazio, ma ho cambiato idea… non c’è necessità che venga con me.”
Asia divenne seria.
“Sei sicura?”
“Assolutamente sì.”
“Puoi ancora ripensarci. Possiamo trovare un’altra soluzione.”
Fabiana scosse il capo. “No, non si può.”
Salì in macchina e tirò giù il finestrino.
“Sarò di ritorno tra qualche ora. Vai pure a letto.”
Asia si abbassò e guardando sua sorella, disse: “Che Dio ci perdoni.”
“Non è noi che deve perdonare.”
Poi accese e partì.
Durante il viaggio rifletté su ciò che stava per commettere: non aveva paura, e sapeva che non avrebbe provato rimorsi. Era certa di una cosa: proteggere la sua famiglia.
Per lei ciò che stava per commettere era giustificato dal fatto che servisse per salvaguardare sua sorella.
Aveva già studiato un piano, ed era certa che non sarebbe stato difficile metterlo in pratica.
Il vicino di casa di Mara e Marco, era un single con una cotta per Fabiana, o comunque per qualsiasi donna che respirasse.
Entrare in casa sua con l’inganno sarebbe stato più che facile.
Si guardò allo specchietto dell’auto e sorrise. Era per una giusta causa, si ripeteva. Scese, si allacciò l’impermeabile e chiuse la portiera. Stava incamminandosi quando vide casa di sua sorella Mara. Non c’era traccia della polizia, non ancora almeno.
Non si era neanche avvicinata alla porta d’entrata dell’abitazione del vicino che vide illuminare il piano inferiore.
Dal portone principale uscì un uomo sulla quarantina. Capelli biondo cenere, corpo massiccio.
“Chi c’è laggiù?”, urlò.
“Sono io!”
L’uomo piegò il capo e domandò ulteriormente: “Sei davvero tu?”
“Sì. Posso entrare? Solo per pochi minuti, devo parlarti.”
L’uomo rise, e annuì.
“Ma certo che puoi, vieni pure.”
Fabiana camminò fino sotto il portico. Quando la luce la illuminò, anche gli occhi dell’uomo lo fecero.
“Ti stavo aspettando”, disse lui con tono malizioso.
“Davvero?”
Lui annuì e le fece segno di entrare in casa.
Si accomodarono e l’uomo chiuse la porta a chiave.
Poi l’afferrò da dietro per le braccia, e disse: “Sapevo che la sorellina avrebbe mandato te. Sei qui per il tuo accordo, no?”
Senza voltarsi lei rispose: “Esatto.”
“Allora ti chiedo un servizio completo, e io in cambio non dirò niente alla polizia.”
Era un essere volgare, schifoso e inutile. Fabiana lo sapeva bene che andando lì, le avrebbe proposto quello scambio.
“E come faccio a sapere che non l’hai già denunciata?”
L’uomo rise e sembrò spogliarla con gli occhi quando disse: “Non sono così stupido da lasciarmi scappare le occasioni che meritano…”
Lasciò trascorrere qualche secondo. Infine domandò: “Allora, cosa posso offrirti da bere, giusto per rompere il ghiaccio?”
Lei sorrise e finalmente si voltò a guardarlo negli occhi. Il suo viso gli fece ribrezzo, e senza smettere di sorridere, si avvicinò al suo orecchio e sussurrò: “Il tuo sangue.”
La fissò senza capire. Poi Fabiana sfoggiò il coltello da sotto la giacca, e glielo piantò dritto nello stomaco.
Dopo una serie di colpi, l’uomo ansimante cascò a terra.
Dopo essersi accertata che non respirasse più, tirò fuori della tasca un sacchetto di plastica e vi accomodò l’arma del delitto al suo interno.
Prima di varcare la soglia, lo fissò, sogghignò e scosse il capo: “L’avevo promesso, ed io mantengo sempre le promesse. ”
Poi sorrise ed uscì richiudendo la porta come se nulla fosse successo.

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