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MORTE DI UN UOMO FELICE- di GIORGIO FONTANA – Recensione di Daniela Torrisi –

Giorgio-Fontana morte di un uomo felice

Milano, estate 1981: siamo nella fase più tarda, e più feroce, della stagione terroristica in Italia. Non ancora quarantenne, Giacomo Colnaghi a Milano è un magistrato sulla linea del fronte. Coordinando un piccolo gruppo di inquirenti, indaga da tempo sulle attività di una nuova banda armata, responsabile dell’assassinio di un politico democristiano. Una corsa e un’immersione pervase da un sentimento dominante di morte. Un lento disvelarsi che segue parallelo il ricordo della vicenda del padre che, come Giacomo Colnaghi, fu dominato dal desiderio di trovare un senso, una verità. Anche a costo della vita. A prescindere dall’uso dei punti e delle virgole assolutamente a sproposito e messe così, a caso, il libro è scorrevole e chiaro, assolutamente da contestualizzare in base al periodo storico. Due storie parallele scritte bene, a volte anche coinvolgenti, ma un po’ superficiali per i miei gusti. Bello invece il dialogo in un interrogatorio tra Colnaghi e un terrorista: “E quindi il problema come si risolve?” Colnaghi alzò le braccia: “Parlando. Trovandoci a metà strada nei bar, nelle chiese, nelle piazze. Così finalmente ci si conosce, tutti insieme, e si capisce che siam in tanti a volere un’altra Italia. “Io penso che se il sistema è spietato, ho il diritto sacrosanto di esserlo anch’io; e colpendone i simboli posso indebolirlo fino a spezzarlo: Fine del discorso.” Colnaghi: “So che la nostra democrazia è piena di ombre, di errori spaventosi. Ma con tutte le sue ombre, se non altro può migliorare: può fermare l’onda dell’odio, può farla finita con i violenti, può combattere il male che porta dentro. Invece l’omicidio di un uomo inerme, di un uomo colpito alle spalle non si corregge; e non serve a nulla .Lascia solo sofferenza”. Quello di Colnaghi è un lungo viaggio sentimentale alla scoperta di sé e delle ferite italiane, compiuto insieme al fantasma del padre, una sorta di specchio in cui il figlio riconosce il suo stesso bisogno di verità. E sullo sfondo Milano, spettatrice a sua volta di una tragedia annunciata. “La vendetta è uno strumento inutile; in primo luogo per voi stessi. E sì, certo, so che una parte di voi non vuole affatto essere migliore, ma solo prendere l’uomo che vi ha fatto così male e distruggerlo, fargli comprendere quanto dolore avete dovuto subire. Ma un complice di quell’uomo vorrà a sua volta vendetta, e colpirà un altro uomo innocente, e a tutto questo non c’è termine: alla fine di tutto resta solo la morte. Non c’è più spazio per la conoscenza, per l’amore, per una pizza, per una passeggiata: il mondo sparisce completamente, il mondo che volevi salvare. Restano solo il gelo e la vendetta. È un’ossessione da cui non si esce.”

(Daniela Torrisi)

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