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Piccola storia di Jaci – Il ceppo e la fiamma, anno 1937

Una delle piĆ¹ belle tradizioni natalizie acesi, l’accensione del ceppo natalizio nei quartieri, descritta dal dott. Alfio Fichera, cantore delle tradizioni nostrane.

Una notte fredda e stellata, uno scampanio festoso che si diffonde sotto quel tremolar di stelle, folla per le strade malgrado la tramontana, gioia nei cuori e sorrisi nei volti. Ecco la notte di Natale, la santa notte miracolosa, cheĀ  quest’anno ha avuto rigore invernale come quando l’asinello ed il bove alitarono fiato caldo nella stalla desolata sul Pargolo divino. Cornamuse che vengono dai monti e presepi in tutte le dimore, canti semplici tramandati da generazione a generazione, soave poesia d’affetti che si rinnovano e si rinsaldano, di memorie che affiorano di nostalgie che risorgono dal fondo dell’animo, senso di pace e di fraternitĆ .

Anche quest’anno i ceppi della tradizione hanno diffuso fiamma e calore per riscaldare gli uomini in attesa dell’ora mistica e per resuscitare costumanze millenarie che sembravano ormai scomparse. Sia per l’interesse personale che puĆ² spingere colui che richiamĆ² le cornamuse della montagna e fece avvampare ancora dopo tanti anni il fuoco del ceppo natalizio, sia per la gioia di vedere come la cara usanza avesse ripreso radici e fronde, abbiamo voluto visitare tutti questi roghi giocondi accesi nelle piazze, nel sagrato di una chiesa, quasi perchĆØ la luce e la vampa riscaldassero gli uomini di buona volontĆ  e quel Pargolo che nasceva sugli altari ove un fastello di paglia e bioccoli di bambagia sull’erba spina ricordavano la stalla squallida e la neve.

Alcuni erano addirittura colossali, impostati con arte, curati, alti e saldi con la via d’aria aperta nel centro ed un tricolore sulla cima.

Gran ressa attorno, uomini e ragazzi, a contemplare quel cumulo ove per la sera era impegnato l’onore del quartiere, in attesa del parroco che lo avrebbe benedetto con acqua santa dopo le parole augurali della predica pronunciata sopra un pulpito di occasione che era ovunque una sedia on uno scanno. Poi, mentre le campane squillavano il richiamo, il fuoco veniva appreso alle fascine e la fiamma si innalzava.

Abbiamo sentito rievocare il significato del fuoco che i pastori accesero di clivo in clivo per annunciare l’evento sovrumano, abbiamo sentito dire che la fiamma ĆØ gioia, luce e vita, abbiamo sentito parlare del roveto ardente che il fuoco non consumava.

La fiammata saliva alta, alimentata dall’aria fredda di tramontana ed era un gridio festoso. Il riverbero accendeva i volti e allungava le ombre, le faville si involavano in un turbinio che le portava in alto come un ninbo d’oro, come uno sciame di lucciole che salissero rapide verso le stelle amiche, sempre per rompereĀ  il buio della notte fredda, per riportare ai lontani un granello della gioia infantile ed ineffabile che ci pervadeva.

E per tutta la notte arsero quei fuochi e riscaldarono gli uomini di buona volontĆ  i quali credettero, quando suono l’ora, di veder passare nei cieli la stella luminosa annunziatrice che Egli era nato, e credettero di sentire echeggiare nello spazio la voce angelica che diceva la grande novella.

foto dalla pagina di Michele AlƬ – Ā uno degli ultimi ceppi realizzati a Piazza Carmine.

da il “Popolo di Sicilia”, 30 dicembre 1937

 

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