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mercoledì, Maggio 15, 2024
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STOP FEMMINICIDIO

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Ho sempre considerato asfittico il recinto degli argomenti ” da donne”. Una vita a farti interpellare sui figli, la moda, e i sentimenti. Al massimo sull’aborto e il divorzio (più sul personale che sul politico). E poi ancora sulla bellezza, le dive, il gossip. Domande epocali, tipo: preferisci l’uomo in boxer o in slip?
Da un po’ di tempo il più gettonato fra i “temi delle donne” riguarda, purtroppo, un dramma epocale: il femminicidio, neologismo doloroso che rimanda a un fenomeno radicato nella storia della relazione fra i sessi.
Non abituiamoci, dopo aver piagnucolato un po’, a tutte le catastrofi ricorrenti. Proviamo a non abituarci, e a porci qualche domanda. Per esempio: siamo sicuri che basti una buona legge? Io no. Io credo che i femminicidi raccontino, più che la vulnerabilità femminile, la fragilità maschile. La terribile debolezza dei maschi.
Io credo che covi da anni questa malattia non diagnosticata. Da quando le donne, negli anni ‘70 del secolo scorso, hanno cominciato a ridefinire il loro ruolo nel teatro delle relazioni. Non più soltanto oggetti di desiderio altrui, costrette ad agghindarsi e, eventualmente, ad annullarsi, pur di non correre il rischio di non essere scelte. Non più funzioni di vite altre, addette alla manutenzione dell’eros o della prole, ma titolari del diritto di desiderare e scegliere, di sbagliare, e riprovare. Come gli uomini.
Chi è nato dopo non lo sa, ma c’era un tempo in cui le donne venivano comunemente ritenute inferiori. Socialmente erano accettate in quanto figlie, fidanzate, mogli. Dall’uomo prendevano cognome e status sociale, sostentamento e protezione. Se tradivano l’uomo che le aveva sostenute e protette, finivano in galera (abbandono del tetto coniugale), fino al 1963.
Se l’uomo, divenuto marito, le tradiva, abbozzavano, perché rientrava nei diritti collaterali di lui, distrarsi con altre donne. Lasciavano correre perché non avevano, tranne rari casi, altro tetto che quello coniugale, sopra la testa. Il dominio maschile era così indiscusso che le separazioni, i divorzi, erano molto meno frequenti di quanto lo siano oggi. Per gli uomini non c’era convenienza a rompere il matrimonio, le donne non se lo potevano permettere.
Negli anni che innescarono il grande cambiamento, i nostri boyfriend furono i primi a far le spese della rivoluzione fra i sessi. Di colpo, le fanciulle parlavano, amavano, lasciavano. Non difendevano più la loro verginità, avendo sdoganato la sessualità dalla riproduzione. Non si relegavano più al ruolo di prede. Si facevano attive, desideravano, guardavano, giudicavano. Ogni relazione amorosa si trasformò, in quegli anni, in una palestra dialettica.
I maschi “maturi” di oggi, hanno, in gran parte, fatto tesoro di quegli scontri verbali e carnali. A nessuno di loro verrebbe in mente di sparare invece che divorziare. I più giovani, senza l’allenamento di una fidanzata femminista negli anni in cui la fatica era anche divertente, si ritrovano in casa donne non subalterne.
In superficie, tocca essere d’accordo sulla parità, le pari opportunità, e le pari dimensioni dei cervelli. Ma nel profondo è annidata ancora la vecchia cultura. Io sono un uomo e lei è mia. Non sarà mai di qualcun altro. Piuttosto la ammazzo. Piuttosto mi ammazzo.
Il femminicidio non è un tema per donne. E non è neanche un problema delle donne. È un problema degli uomini. Sono loro che devono tematizzare la loro angoscia, elaborare la perdita di potere nel privato, che subiscono senza parlarne da decenni. Sono loro che devono approfondire il fenomeno del femminicidio. La violenza contro le donne, non è un problema nostro. È un problema loro. (L. Ravera)

#fancityliberinavigatori

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