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lunedì, Ottobre 14, 2024
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STORIE DI CANZONI – Procol Harum – “A Whiter Shade of Pale”

Questo celebre e iconico brano degli anni sessanta, rappresentativo di una stagione di sogni, speranze e (vagheggiate) rivoluzioni, nasce dall’alchimia magica tra il testo, apparentemente ermetico, di Keith Reid e la musica di Gary Brooker e Matthew Fisher (tutti e tre componenti del gruppo inglese dei “Procol Harum”), che ebbero la geniale intuizione di incorporare nella matrice soft-rock della band elementi di musica classica, e segnatamente la celebre (ma allora non così celebre come adesso) “Aria sulla IV corda” di J.S. Bach insieme ad una “cantata” dello stesso autore.

Il tutto magicamente sintetizzato dall’organo Hammond e dalla voce calda e graffiante, da vero bluesman, di Gary Brooker, leader del gruppo. Nacque così un nuovo genere interno al “progressive”, denominato “rock barocco” o “rock sinfonico”, genere che, nel decennio successivo, trovò compiuta e grande affermazione grazie a gruppi come i Genesis, i Gentle Giant ed Emerson, Lake & Palmer (in Italia da ricordiamo, tra i suoi esponenti , i New Trolls, gli Osanna, il Banco e la stessa PFM).

Ma torniamo al brano. Molto è stato detto e scritto del testo, da molti considerato ermetico, se non addirittura astruso. In realtà, come testimoniato dall’autore Keith Reid, la sua stesura è immune da influssi psichedelici, peraltro frequenti a quel tempo, dovuti all’uso di droghe (“avevo fumato quando pensai al brano, ma non quando lo scrissi”, continua Reid) pur con alcune bizzarrie letterarie (la citazione di una novella dei “Racconti di Canterbury”), il suo significato rimanda (almeno così giurano gli autori) a un normale rapporto sessuale tra due giovani amanti. Ed ecco che, in quel contesto, tutto è permesso: tetti che volano, mal di mare, e infine il viso di lei, sbiancato per l’emozione, “un’ombra più bianca del pallido” (“A whiter shade of pale”). E’ quello che succedeva, mi si conceda l’accostamento, anche nella canzone italiana. Anzi, era già successo: ne “Il cielo in un stanza” (1960), complice l’estasi amorosa, Paoli fa sparire il soffitto (dev’essere un fissazione..), le pareti vengono sostituite da alberi infiniti, etc. etc.

“A Whiter Shade of Pale” è stata la canzone maggiormente diffusa dalle radio britanniche negli ultimi 70 anni. Le sue cover vengono calcolate tra 800 e mille. Tra queste, da ricordare su tutte quella, sontuosa, della divina Annie Lennox (1995), e poi Michael Bolton(1999), la versione strumentale degli Shadows (1986) e quella, recentissima (2021) di Carlos Santana e Steve Winwood. In Italia, il fiuto da fuoriclasse di Mogol fece sì che la versione italiana (“Senza luce” dei Dik Dik) peraltro dignitosa, uscisse da noi ancor prima di quella originale. Tuttavia, nessuna di queste cover può ridare l’emozione delle sonorità rock-classiche dei Procol Harum. Come ha affermato Zucchero Fornaciari, che in questi giorni ha pubblicato “Discover”, un album di cover celebri, pur essendo la sua preferita, ha scelto di non rifarla perché “per me è come una statua di Michelangelo, e un capolavoro non si sfiora nemmeno con un dito”.

Un tantino eccessivo forse, ma rende l’idea di cosa abbia significato questo brano per intere generazioni non solo di fan, ma anche di musicisti. Mi piace ricordare, infine, il suo impiego nella colonna sonora de “I cento passi” (2000) di Marco Tullio Giordana: la canzone fa da sfondo ai funerali di Peppino Impastato, sommando emozioni ad emozioni.
Ho avuto la fortuna e il privilegio di assistere a un loro concerto all’Auditorium a Roma nel 2017. Una performance di altissimo livello, e dall’impatto emotivo indescrivibile. E sarà stato forse per questo che, nonostante si fosse ancora ai primi di ottobre, vi assicuro, i brividi in sala erano così intensi e diffusi che neanche all’aperto, in gennaio, in Val di Fassa…

https://www.youtube.com/watch?v=Mb3iPP-tHdA&ab_channel=Meowbay

Citto Leotta

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