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lunedì, Maggio 6, 2024
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Un borghese piccolo piccolo

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Un borghese piccolo piccolo, tratto dal romanzo di Vincenzo Cerami, è un film del 1977. E’ la storia di un modesto impiegato del ministero del lavoro, interpretato in modo magistrale da un insolito Alberto Sordi, che per la circostanza viene consegnato al ruolo di un personaggio drammatico, ma non per questo meno suo.

Giovanni Vivaldi, è questo il nome del protagonista, è l’affezionato padre di Mario, un giovane poco brillante che, avendo conseguito il diploma, comincia a fare concorsi per avere il “posto fisso”. Il padre che lo vorrebbe, come lui, impiegato in un ufficio del ministero confida questa speranza al direttore Spaziani, suo superiore, il quale gli dice che una possibile strada sarebbe quella di affiliarsi alla massoneria. Vincendo la propria diffidenza nei confronti della setta, Vivaldi partecipa ad un rituale di iniziazione, al termine del quale scopre con sua grande sorpresa di essere sempre stato l’unico impiegato non massone del ministero del lavoro. Subito dopo, scatta la solidarietà della “fratellanza”. Spaziani sottrae proditoriamente i titoli delle prove d’esame per il concorso di selezione del personale del ministero, a cui deve partecipare il figlio di Vivaldi, e quindi, in una scena altrettanto farsesca come quella dell’iniziazione, li recapita al collega. Il giorno dell’esame, Vivaldi accompagna il figlio, che per non avere problemi ha portato con sè una collezione di penne a sfera. Mentre i due si trovano in strada, alcuni rapinatori  assaltano il banco dei pegni  con una sparatoria, e Mario viene colpito a morte da un proiettile vagante. Con la morte di Mario è come se a Vivaldi il mondo fosse crollato addosso. La sua unica ragione di vita era il figlio ed ora che lui se n’è andato e che la moglie è rimasta paralizzata su una carrozzina, a causa dello shock subito per la sua perdita, non gli resta altro che chiedere la pensione. Convocato un giorno al commissariato di polizia per identificare l’assassino del figlio, Vivaldi finge di non riconoscerlo, ma dopo averlo pedinato a bordo della sua auto lo stordisce con il cric e lo porta fuori città. Vivaldi rinchiude così il malvivente nel capanno di campagna dov’era solito recarsi a caccia. Dopo aver sottoposto il giovane a sevizie, lo mostra quindi agonizzante alla moglie, che davanti a questa scena raccapricciante proverà il suo ultimo dispiacere, prima di morire. Legato al collo con un filo di ferro, l’assassino di Mario finisce per essere “garrottato”, e Vivaldi pensa così di aver reso giustizia a se stesso e alla società. 

Un borghese piccolo piccolo rappresenta una critica di costume rivolta ad un intero paese dove al merito viene sostituita la pratica della raccomandazione, che accompagna gli individui lungo tutta la vita. La storia è una storia di dolore, ma Monicelliriesce a tratteggiare una satira di questi ambienti ministeriali, con tutte le piccolezze e i vizi degli impiegati statali, oltre che una satira verso alcune carenze della società, come quella di posti al cimitero che costringe ad accatastare le bare alla rinfusa in spazi comuni che assomigliano ad un inferno più che al paradiso. Così, la “fratellanza massonica” si esaurisce nel ristretto ambito di un gruppo di impiegati dello stesso ufficio ministeriale, a garanzia di un sistema chiuso di caste, un sistema che lascia agli esclusi ben poche alternative. Giovanni Vivaldi appartiene alla società degli anni '70: talmente carica di violenza da potere trasformare in mostro assassino il padre strisciante sul ventre nella ricerca di una modestissima sedia burocratica per il 'pupillo ragioniere'. Testimonianza del modo di essere e di pensare dell’italiano medio degli anni settanta, Un borghese piccolo piccolo ci aiuta anche a comprendere l’attualità, scavando nelle piccole e quotidiane miserie del costume nazionale.
La stima e la fiducia che Monicelli ha sempre riposto nei confronti di Alberto Sordi probabilmente hanno contribuito a far cadere la scelta per il ruolo del protagonista sul versatile attore romano; un'operazione, questa, che si presentava decisamente rischiosa: anche se Sordi aveva già dimostrato con "La grande guerra" di saper interpretare ruoli a lui inconsueti, la lacerante drammaticità che richiedeva il personaggio di Giovanni Vivaldi era tale da far sorgere non poche perplessità ad un pubblico abituato alle gag dell' Albertone nazionale, perplessità neutralizzate di fronte ad una interpretazione straordinaria, di una sorprendente forza espressiva, un mutamento dal comico al tragico di incredibile efficacia, senza ombra di dubbio l'apice della carriera dell'attore romano. Il cast si avvale, oltre che di un sorprendente Alberto Sordi, anche di altri, eccellenti interpreti: sicuramente non facile l'interpretazione di Shelley Winters (la moglie Amalia), costretta dalla sua condizione ad un gioco di sguardi straziante ma straordinariamente espressivo; sufficiente la prova di Vincenzo Crocitti (il figlio Mario), un po' sacrificato dal personaggio assegnatogli, mentre è indiscussa la bravura di Romolo Valli nei panni del dottor Spaziani.
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