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Una torre negli abissi a largo di Portopalo: operativa la prima delle 8 torri dell’esperimento Km3NeT

km3net
Nuovo successo dell’esperimento sottomarino per neutrini Km3NeT: agganciata sul fondale a 3500 metri di profondità la prima delle otto torri, che è stata posata e ancorata sul fondale marino a 3500 metri profondità al largo di Portopalo di Capo Passero.
ll progetto, l’esperimento in questione, si chiama Km3NeT, e l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) gioca in esso un ruolo chiave, grazie anche al contributo dei suoi Laboratori Nazionali del Sud (LNS) di Catania.
L’esperimento, nella conformazione finale di questa fase, sarà costituito complessivamente da otto torri e ventiquattro stringhe, allo scopo di realizzare una matrice tridimensionale di sensori per la rivelazione e la misura di neutrini astrofisici di alta energia. Al suo completamento sarà, così, il più grande telescopio per neutrini astrofisici operante nell’emisfero boreale.
Costituirà, inoltre, la prima porzione del nodo italiano dell’infrastruttura di ricerca europea KM3NeT, che ha l’obiettivo finale di espandere il rivelatore con ulteriori duecento strutture di rivelazione, superando in tal modo la sensibilità del telescopio statunitense per neutrini IceCube, operante nei ghiacci dell’Antartide.

La torre posata è costituita da una sequenza verticale di quattordici travature reticolari di alluminio (piani) di 8 metri di lunghezza, ciascuna ospitante 6 sensori ottici e 2 acustici. I piani, interconnessi mediante cime in materiale sintetico, sono spaziati verticalmente fino a ottenere un’altezza totale della torre pari a circa 400 metri.

Il progetto Km3Net
Nella sua configurazione finale l’esperimento sarà costituito da una ‘selva’ di strutture, che formeranno una griglia del volume di circa un chilometro cubo. Le torri e le stringhe fungeranno da supporto per decine di migliaia di sensori ottici (fotomoltiplicatori), ‘occhi’ elettronici sensibilissimi che formeranno un’antenna sottomarina in grado di rilevare la scia luminosa azzurrina (chiamata “luce Cherenkov”) prodotta dalle rare interazioni dei neutrini di origine astrofisica con l’acqua di mare. Il complesso di torri costituirà quindi un telescopio per neutrini cosmici di alta energia, che provengono dal centro della nostra galassia, dopo aver attraversato lo spazio profondo e tutta la Terra, portando informazioni pressoché intatte sulle loro sorgenti.

Perché sul fondo del mare
La peculiarità dei neutrini risiede nella probabilità estremamente bassa di interagire con la materia: questa caratteristica consente loro di non essere assorbiti dalla radiazione di fondo e di attraversare imperturbati regioni che sono opache alla radiazione elettromagnetica, come l’interno delle sorgenti astrofisiche. Inoltre, essendo particelle neutre, non subiscono deflessioni causate dai campi magnetici galattici e intergalattici che impedirebbero di risalire alla direzione di provenienza. Il prezzo da pagare per osservare queste particelle così sfuggenti è la necessità di realizzare rivelatori di dimensioni enormi. Inoltre, per proteggersi dalla pioggia di radiazione cosmica che bersaglia la Terra, questi rivelatori devono essere installati in luoghi fortemente schermati. È però evidente che dispositivi di queste dimensioni non possono essere collocati in laboratori sotterranei. Una possibile soluzione, allora, è quella di utilizzare grandi volumi di un mezzo naturale, dotandolo di opportuni strumenti. In un mezzo trasparente, come l’acqua delle profondità marine o i ghiacci polari, è possibile rivelare la radiazione luminosa prodotta per effetto Cherenkov dalle particelle secondarie (muoni), che i neutrini generano interagendo con la materia. Poiché quest’ultimo ha una direzione sostanzialmente uguale a quella del neutrino che l’ha prodotto, la sua rivelazione permette di risalire anche alla direzione del neutrino e di conseguenza all’osservazione della sua sorgente. Inoltre, se poniamo il rivelatore nelle profondità marine (o dei ghiacci polari), la materia sovrastante funge anche da schermo contro il fondo di particelle cosmiche, che in superficie “accecherebbe” il rivelatore. L’acqua (o il ghiaccio) assolve, così, a un triplice compito: schermo protettivo dai raggi cosmici, bersaglio per l’interazione di neutrini e mezzo trasparente attraverso il quale si propaga la luce Cherenkov.

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