Amy Winehouse è considerata, ancora prima di Adele e Duffy, la precorritrice del nuovo “soul bianco”. Purtroppo, la grande cantautrice inglese di origine ebraica è stata vittima della sua fragilità e della labilità psico-emotiva che ben presto l’hanno resa dipendente da disordini alimentari, droghe, sostanze psicotrope e soprattutto dall’abuso di alcool. La sua vita è stata contrassegnata da continue crisi (spesso evidenti sul palco durante i concerti) seguite da disintossicazioni e ricadute. Proprio questa drammatica alternanza sarebbe alla base della morte dovuta, presumibilmente (non è stato mai accertato e certificato) a shock alcolico del tipo “stop and go”, dovuto a una ripresa dell’assunzione dopo un lungo periodo di astinenza. Amy Winehouse morì il 23 luglio 2011, a 27 anni, allungando l’elenco dei grandi artisti del rock e del blues colpiti dalla “maledizione del Club 27”, aggiungendosi a Kurt Cobain, Brian Jones, Jimi Hendrix, Janis Joplin, Jim Morrison.
Amy riuscì in vita a pubblicare solo due album (il terzo uscì postumo) dei quali fu soprattutto il secondo, “Back is Black”, a darle il successo a livello nazionale e internazionale oltre 3 milioni di copie in tutto il mondo) e la vittoria di ben cinque Grammy Awards. La traccia omonima “Back to Black”, uscita come singolo il 30 Aprile 2006 è forse, insieme a “Rehab”, il brano che meglio incarna le doti artistiche e il drammatico vissuto personale dell’artista britannica. Il significato del titolo (letteralmente “torno al nero”) è controverso. L’artista era stata lasciata pochi mesi prima dal marito Blake Fielder-Civil e, secondo alcuni, il “ritorno al nero” si riferirebbe al periodo buio in cui rimpiombò la cantante, preda della bulimia e della depressione se non, addirittura dell’eroina (in alcuni ambienti di Los Angeles definita appunto “black”). Musicalmente il brano rimanda alle atmosfere vintage degli anni ’60, in particolare alle grandi interpreti del soul come Macy Gray, Sarah Vaughan e a quello più recente del gruppo femminile hip hop delle Salt’n Pepa. Un ulteriore contributo al successo del singolo fu dato dal video, suggestivo e originale, diretto da Paul Griffin, girato interamente in bianco e nero.
In esso Amy partecipa, in testa al corteo funebre, ai funerali del suo cuore infranto. Alla fine del brano Amy getta sulla bara un mucchietto di terra e un fiore bianco, mentre compare la scritta “R.I.P. the heart of Amy Winehouse”. Nessuno avrebbe immaginato che, meno di due anni dopo, (il video è del dicembre 2009) Amy avrebbe cessato di vivere, lasciando un enorme rimpianto in milioni di fan e in tutti gli appassionati di musica. E’ opinione dei critici che, se la Winehouse fosse riuscita ad affrancarsi dai suoi demoni, avrebbe potuto liberare enormi potenzialità artistiche, espresse solo parzialmente sino a quel momento, essendo la sua voce e il suo talento predisposti a spaziare tra i generi, dal soul al rock, dal blues al jazz. Vorrei finire con il giudizio che il grande crooner e cantante jazz Tony Bennett espresse su Amy Winehouse in occasione del documentario “Amy” a lei dedicato. “Era l’unica che cantava davvero in quello che io chiamo il modo giusto.Amy aveva una delle più belle voci jazz che abbia mai sentito, al livello di Ella Fitzgerald e Billie Holiday”. E scusate se è poco.
Citto Leotta