Con l’album “La Voce del Padrone” (1981) Franco Battiato consolida la svolta pop già effettuata due anni prima con “L’era del cinghiale bianco” (1979), seguita l’anno successivo da “Patriots” (1980). Ma questo è forse l’album di Battiato più pirotecnico, rivoluzionario e ricco di spunti e possibili interpretazioni dell’intera sua produzione. Tre le colonne portanti del disco: “Centro di gravità permanente”, “Bandiera bianca” e, appunto, “Cuccurucucù”. Il titolo rimanda a una triste canzone messicana in stile “huapango”, scritta da Tomas Mendez nel 1954, il cui titolo riproduce in maniera onomatopeica il verso delle colombe (qualcuno ci ha visto anche un riferimento al “Vola colomba” di Nilla Pizzi vincitore a Sanremo nel ’52).
Su un incalzante tappeto musicale pop-elettronico creato da Giusto Pio, il testo inizia subito con un flashback spazio-temporale a noi familiare: “Le serenate all’Istituto Magistrale, nell’ora di ginnastica o di religione”. Siamo negli anni ’60, e Franco Battiato, alunno (un po’ ‘discolo’) del Liceo Scientifico “Archimede” di Acireale, nelle suddette ore scolastiche (da sempre assimilabili a una sorta di ricreazione) va probabilmente con i compagni a ‘sconcicare’ le ragazze del “Regina Elena”, (allora Istituto Magistrale) a stragrande presenza femminile. Ma quello che inequivocabilmente lo lega alla nostra città è il quadro successivo: “Per Carnevale suonavo sopra i carri in maschera”, riferendosi alla “musica dal vivo” suonata a quel tempo sui carri allegorici del Carnevale acese, da vere e proprie orchestrine musicali di cui il Nostro, evidentemente, faceva parte; e già allora ( ça van sans dire), quel giovane ripostese, musicista in erba, dimostrava fantasia ed estro creativo (“Avevo già la luna e Urano nel Leone”).
Giunto a questo punto, l’Autore, come rovistando in un vecchio baule nella soffitta dei ricordi, tira fuori, in un dissacrante e caleidoscopico non-sense, celebri canzonette (“Il mare nel cassetto”, “Le mille bolle blu”, “Il mondo è grigio, il mondo è blu”), epiche rimembranze scolastiche (“Cantami o diva..l’ira funesta”), la mitologia western dei pellerossa ‘buoni’ (“le gesta erotiche di Squaw pelle di luna”). Ma attenzione: non è un esercizio di nostalgia: sono ricordi che Battiato manda al macero, vagheggiando persino un rifiuto del moderno e della tecnologia e un ritorno all’antico: alla penna stilografica (“con l’inchiostro blu”) e al rasoio a mano (“la barba col rasoio elettrico non la faccio più”).
Siamo alle strofe finali: la furia iconoclasta di Battiato, dopo aver “giustiziato” l’incolpevole Chubby Checker (“Let’s twist again”) si abbatte nientemeno che sui Beatles (“Lady Madonna” e “With a little help from my friends”) e sui Rolling Stones (“Ruby Tuesday”) per concludersi, sacrilega, sull’intoccabile Bob Dylan (“Like just a woman” e “Like a Rolling Stone”). Un conto personale, quello di Battiato col “menestrello”: nello stesso album, in “Bandiera Bianca” con i versi “Mister Tamburino non ho voglia di scherzare, rimettiamoci la maglia i tempi stanno per cambiare” Battiato prende di mira altri due celebri brani di Dylan, “Mr.Tamburine Man” e “The times they are a changin’ ”. Il brano infine ci lascia, travolti ed esausti, supportato da cori femminili, su cui svetta la voce unica e inimitabile di Giuni Russo.
Naturalmente, l’ esegesi del testo di Battiato è personale e tutt’altro che univoca. Ed è proprio questo uno degli aspetti più originali del suo genio. La sua musica, da quella più raccolta ed impegnata a quella più ritmata e (apparentemente) sbarazzina, viene presentata per ‘quadri’ evocativi, in un mare di simboli e rimandi, in cui l’ascoltatore è libero di attingere e ‘pescare’ secondo la sua sensibilità, sia nella superficie delle rime baciate e delle assonanze che nella profondità delle riflessioni filosofiche e dell’essenza “religiosa” del Maestro. Può anche darsi che in questa canzone Battiato abbia voluto sfogliare, commosso, l’album dei ricordi. Noi preferiamo pensare che lo abbia fatto, ma in maniera ironica e dissacrante, magari per liberare il suo vissuto dall’aura, fine a se stessa, della nostalgia, e poterlo così “plasmare” alla luce delle proprie convinzioni etiche e filosofiche che mai lo abbandonarono, neppure quando ballava, beffardo, al ritmo del suo, personalissimo, “pop”.
Foto: Franco Battiato e Angelo Privitera.
Citto Leotta