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STORIE DI MUSICA Keith Jarret – “The Kòln Concert”

“Lei, anzi, te. Non penserai davvero che mi esibirò con questa merda! Sono notti che non dormo, ho un mal di schiena atroce. Come se non bastasse mi sono fatto cinque ore di viaggio, da Zurigo, per arrivare qui in Germania. E trovo un pianoforte da pivelli, stonato e coi pedali di risonanza sfondati. Ma chi credete di prendere per il culo?”.

In un piovoso pomeriggio del gennaio 1975, la furia di Keith Jarret, si abbatte sulla povera Vera Brandes, non ancora ventenne e organizzatrice di concerti jazz. Troppo giovane per organizzare un concerto all’Opera di Colonia, ma soprattutto troppo inesperta per avere a che fare con Keith Jarrett, genio musicale del secolo scorso ma famoso anche per il suo carattere difficile. Quella sera sta per saltare tutto. Chi conosce la pignoleria e la determinazione del pianista americano, sa che quella sera non ci sarebbe stato nessun concerto. Ma torniamo un po’ indietro nel tempo perchè la storia di questo concerto e del relativo album, è davvero incredibile.

Durante la sua carriera Keith aveva suonato in trii e quartetti, prima di approdare nel gruppo di Miles Davis, il quale lo aveva obbligato a suonare il piano elettrico.
Questa cosa non andava a genio a Jarrett fino al punto che decise di abbandonare Davis e la sua band ed affrontare una nuova avventura come solista con il suo amato piano a coda.
Keith Jarrett si trovava nel bel mezzo di un Tour mondiale da solista iniziato nell’ottobre del 1974 a Washington e che si sarebbe concluso il 20 Aprile del 1975 a Waterville, nel Maine, dopo aver toccato anche undici città europee.
D’accordo con il suo produttore aveva deciso che, dato il grande sforzo necessario per eseguire i concerti caratterizzati da lunghe improvvisazioni, le date stabilite sarebbero state sempre a giorni alterni così da averne uno di riposo.
Appena concluso un concerto a Losanna, arrivò la telefonata di Vera Brandes, che comunicava ai due di avere per il giorno successivo, lo spazio per un concerto al Teatro dell’Opera di Colonia.

Nonostante la stanchezza, Keith accettò trattandosi di esibirsi in uno dei più grandi templi della musica; così, accompagnato dal suo manager Manfred Eicher, si mise in viaggio in automobile, una Renault 4.
Nei giorni precedenti Keith aveva accusato forti dolori alla schiena, cui provò a porre rimedio indossando un tutore e facendo uso di antidolorifici, e dopo un viaggio di quasi 600 Km, i due arrivarono nel pomeriggio a Colonia in Germania.
Fu li che conobbero Vera Brandes, la giovanissima organizzatrice dell’evento che, al loro arrivo in albergo, li accolse con entusiasmo, felice per il fatto che i biglietti erano andati a ruba e che quindi al concerto ci sarebbero stati più di 1400 appassionati di jazz.

Gli accordi presi prevedevano che il pianoforte per il concerto dovesse essere un Imperial Bösendorfer 290 di nove piedi, ma in tarda serata, quando Jarrett e Eicher si recarono al Teatro, si resero conto che sul palco non c’era l’Imperial 290, ma uno della stessa marca ma molto più piccolo: un Bösendorfer Baby Grand.
Non solo, ma il piano era quello usato per le prove del coro del Teatro, era scordato aveva il pedale di sostegno bloccato e anche alcuni tasti neri che non funzionavano.Bösendorfer Baby Grand
Jarret ed Eicher rimasero interdetti, provarono a suonare alcune note e si consultarono, poi Eicher si avvicinò alla imbarazzatissima Vera e le disse:
“Questo piccolo piano potrebbe andar bene per suonare in un bar. Se non trovi un nuovo pianoforte Keith annullerà il concerto”.
I due poi si incamminarono verso la macchina per tornare in albergo inseguiti da Vera Brades che, disperata, cercò di persuadere il pianista a tenere comunque il suo concerto e che lei avrebbe fatto di tutto per recuperare un pianoforte degno del pianista americano.

Keith Jarret, forse intenerito da questa ragazza inesperta e disperata, dopo interminabili momenti di silenzio le disse:
“Lo faccio solo per te, non lo dimenticare, mai.”
Vera trovò il pianoforte che voleva Jarrett, ma non il mezzo per portarlo al teatro, così telefonò a tutti gli amici musicisti che conosceva per chiedere loro aiuto nell’ andare a prendere il piano e spingerlo per le strade di Colonia fino al teatro.
Ma l’idea era folle: se il piano fosse stato trascinato per strada sotto la pioggia, sarebbe arrivato in pessimo stato, così Vera decise di cercare di sistemare al meglio il pianoforte Baby Grand già presente sul palco, e un gruppo di tecnici e accordatori fecero del loro meglio ripristinando anche i tasti che non funzionavano.
Nel frattempo Keith Jarrett era tornato in albergo per riposare senza tuttavia riuscirci; poi in un ristorante italiano dove il cibo non fu di suo gradimento e gli fu servito tardi, tanto che dovette cenare in tutta fretta per essere in orario per il concerto. Insomma, c’erano tutti i presupposti per un fiasco annunciato.

Nel tragitto verso il teatro Jarrett era molto stanco e provato. Si rilassò solo dietro le quinte, pochi minuti prima dell’esibizione.
Alle 23,30 in punto si sedette sullo sgabello e suonò le prime note.
Vera Brandes intanto eccitatissima, non riusciva a stare ferma e girava in lungo e largo per il teatro per poterlo guardare ed ascoltare da ogni angolo. Le note del piano, all’inizio incerte, cominciavano a prendere sempre più forma in un crescendo magico e deliziosamente coinvolgente.
Il concerto dura quasi un’ora ed è rappresentato da una straordinaria improvvisazione musicale che spazia tra jazz, blues, folk e classico.

Nessuno degli oltre 1400 spettatori avrebbe mai immaginato di essere stato testimone di un concerto di pianoforte che successivamente, fu ritenuto il più famoso nella storia della musica moderna.
L’album che contiene la registrazione di quel concerto ha venduto oltre quattro milioni di copie, diventando il disco di pianoforte più venduto di tutti i tempi.
Su Youtube non è presente alcuna riproduzione originale di questo album.
Immagine: Vera Brandes

Luigi Pennisi

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