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STORIE DI VINILI – Miles Davis – “Kind of Blue”

Gli anni cinquanta volgevano al termine e il jazz si districava lungo un percorso a ostacoli che ne complicava il cammino. All’avanguardia della musica americana da più di un decennio e interpretata quasi interamente da artisti afroamericani, la musica jazz si proponeva come una delle più efficaci espressioni della cultura popolare americana. Nel 1955 morì Charlie Parker, il più grande sassofonista che fosse mai esistito, e con lui se ne andò via la vitalità del bepop, uno stile del jazz caratterizzato da tempi musicali molto veloci, che imperversava dagli anni quaranta. Nel frattempo alcuni musicisti bianchi, Chet Baker e Dave Brubeck su tutti, dimostravano le loro grandi capacità nella musica jazz, cozzando però contro i limitativi e stretti modelli su cui fino allora si era basato quel genere musicale e fu allora che si cominciò a infrangere le regole alla ricerca di un’ispirazione finalizzata ad una creatività libera da schemi precostituiti.
Nel 1959 il trentatreenne Miles Davis, celebre trombettista e leader di band talentuosissime che avevano spremuto il bebop fino al punto da segnarne sostanzialmente la fine, si trova ad essere uno dei più grandi e influenti jazzisti di quel periodo. La Columbia Records, sua casa discografica dal 1956, lo incita alla realizzazione di un nuovo album e gli concede la massima libertà creativa oltre che l’opportunità di poter scegliere i migliori musicisti del momento.
Fu così che per la realizzazione di “Kind of Blue”, Miles Davis chiama Jimmy Cobb alla batteria e Paul Chambers al contrabasso, Cannonball Adderley al sax alto e John Coltrane, un sassofonista ancora poco conosciuto ma molto apprezzato dai musicisti jazz anche se ancora privo di uno stile ben definito e caratterialmente particolarmente introverso.

Per il pianoforte Davis volle con sé Bill Evans, un musicista bianco che la pensava come lui su un sacco di cose e con il quale condivideva delle idee in ambito jazzistico, più uniche che rare. Ciò che univa Davis ed Evans era la stanchezza e il conseguente rifiuto verso gli schemi strutturali del bebop e la voglia, fino ad allora inespressa, di suonare in modo diverso e con una maggiore libertà espressiva. Miles Davis si concentrò sulle improvvisazioni, che sono l’anima del jazz, ed in suo aiuto corse il compositore e pianista George Russel, autore del libro “Lydian Chromatic Concept of Tonal Organization”, grazie al quale Davis, realizzò .una delle più importanti rivoluzioni della musica del Novecento. Nel suo libro Russel sperimentò l’idea della “musica modale”, un concetto molto complesso anche per gli addetti ai lavori che proveremo a spiegare, cercando per quanto possibile, di semplificare: si tratta di un nuovo modo di eseguire le improvvisazioni basandosi su una serie di scale (dette appunto modali) e non sugli accordi.

Le scale utilizzate non sono quelle tradizionali (maggiori o minori) ma, caratterizzate da nomi alquanto singolari quali “eolica”, “misolidia” o “frigia” ed ognuna di esse è collegata a un modus che a sua volta si collega a un’atmosfera o a un sentimento diversi. Nonostante le apparenze, non c’è niente di trascendentale, le note utilizzate per le scale restano sempre sette, ma cambiano gli intervalli che sono diversi rispetto le tradizionali scale maggiori e minori. Negli assoli del bebop si procedeva attraverso virtuosi arpeggi suonati sulle scale associate a ciascun accordo e il musicista improvvisatore doveva sempre pensare all’accordo successivo. Nessun problema per i migliori jazzisti che si districavano con scioltezza dentro questi schemi senza dover pensare per ogni battuta a quali fossero le note permesse e quelle vietate, ma inevitabilmente le improvvisazioni finivano per restare limitate dentro precisi schemi. Miles Davis voleva suonare in modo differente e il jazz modale gliene diede modo liberandolo dai vincoli che gli accordi si portavano dietro e permettendogli di sviluppare un nuovo tipo di armonia fatta di progressioni dove gli accordi si alternavano meno frequentemente.

A questo punto risulta fondamentale la presenza di Bill Evans, anche lui cultore della musica modale al punto da perfezionare un modo di suonare gli accordi senza suonare la tonica (la nota che da il nome all’accordo). In questo modo il tappeto armonico dei brani dava maggiori libertà ai musicisti solisti che potevano suonare “trascurando” gli accordi e concentrandosi sulle scale e i modus che evocavano. In conclusione, mentre nel bebop c’era un tema (la melodia orecchiabile), seguito da una serie di virtuosistiche improvvisazioni concluse poi da un rientro del tema, i brani del nuovo jazz modale comprendevano i temi, ma nelle improvvisazioni i musicisti erano sollecitati a crearne di nuovi, creando melodie più efficaci, più libere, più armoniose e meno macchinose di quelle del bebop, con la possibilità di attingere a scale diverse ciascuna con un modus associato.
Il 2 marzo 1959, Miles Davis raduna ai Columbia Studios di Manhattan i musicisti che si presentarono senza alcuna idea di cosa avrebbero suonato, tranne Bill Evans che era già a conoscenza delle intenzioni innovatrici di Davis. Al posto dei tradizionali spartiti, Miles Davis consegnò ai colleghi una serie di annotazioni su scale e linee melodiche. Iniziò così la lavorazione di quello che sarebbe diventato un caposaldo della musica jazz, una pietra miliare che diede una svolta decisiva ad un genere musicale che rischiava di arenarsi. Considerato il più importante disco della storia del jazz, “Kind of Blue” fu realizzato interamente in soli due giorni di registrazioni. Ma la vera grandezza di questo vinile, è di aver saputo rivoluzionare la musica jazz in modo indolore; un album che è indiscutibilmente bellissimo e che piace generalmente a tutti, anche a chi non conosce la storia delle sue origini e addirittura a chi normalmente detesta il jazz. Nel 1992 “Kind of Blue” vince il Grammy Hall of Fame Award e nel 2003 la celebre rivista musicale Rolling Stone, nella sua classifica sui 500 migliori album di ogni tempo, lo pone al 12º posto. È un disco universale. È il vangelo del jazz. È storia della musica!
Nel video, “So What” brano di apertura dell’album.

Immagine: Miles Davis

Luigi Pennisi

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