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8 gennaio 1993, la mafia uccide Beppe Alfano, giornalista

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Poco prima delle 22,30 tre spari in via Marconi, strada provinciale di Barcellona Pozzo di Gotto, a due minuti dal centro storico. Dentro una Renault di colore rosso viene rinvenuto il corpo senza vita di Beppe Alfano, 48enne cronista locale. È la prima vittima di mafia del 1993, che allunga la catena di morte dell’anno precedente, segnato dalle stragi di Capaci e via DAmelio.

Fin dai trascorsi universitari a Messina, alla facoltà di Economia e Commercio, Beppe unisce agli studi due grandi passioni: la politica e il giornalismo. Le sue idee di uomo di destra, fautore inflessibile della legalità e del rispetto per le regole, lo avvicinano inizialmente al movimento estremista Ordine Nuovo e successivamente al Movimento Sociale Italiano di Giorgio Almirante. Sul fronte giornalistico, predilige la dimensione investigativa del cronista di strada.

Dopo la morte del padre decide di abbandonare gli studi e di trasferirsi in Trentino con la compagna che diventerà sua moglie. Qui inizia la carriera d’insegnante di educazione tecnica, che prosegue al ritorno in Sicilia, nel 1976, presso una scuola media di Terme Vigliatore.
il clima che accompagna la sua candidatura alle elezioni comunali, per una lista civica, è pesante e presto si accorge di essere visto come un personaggio scomodo, uno che dà fastidio. La mancata elezione non lo scoraggia e traspone sul piano giornalistico la lotta all’affarismo occulto e alla corruzione, imperanti in quegli anni.

Inizia con alcune radio provinciali per passare negli anni Ottanta a emittenti televisive locali come Telecity e Telenews, collaborando nel contempo al quotidiano catanese La Sicilia, come corrispondente locale di politica, cronaca, sport.  Le stesse forze dell’ordine considerano i suoi articoli una valida fonte d’indagine.

Del malaffare  Beppe dimostra di conoscere molto. Troppo per alcuni personaggi che a un certo punto gli fanno capire che deve fermarsi. Dall’altra parte però c’è un uomo che non si lascia intimidire, tant’è che arriva a rivelare alla moglie e alle due figlie di essere al corrente della sua imminente fine.
quel venerdi, rincasando con la moglie, nota qualcosa di strano e, raccomandando alla donna di chiudersi in casa, si mette alla guida della Renault rossa. Pochi metri dopo, lungo via Marconi, viene freddato da tre colpi di pistola al petto, alla testa e in bocca.

La firma della mafia appare più che evidente. Eppure, grazie a una sotterranea strategia di depistaggio e di diffamazione della vittima, le indagini procedono inizialmente in altre direzioni.

Anni dopo, grazie alle rivelazioni del collaboratore di giustizia Maurizio Avola, legato alla cosca di Nitto Santapaola e implicato nell’omicidio di un altro giornalista, Giuseppe Fava (ucciso nel 1984), offrono un quadro diverso della verità, Alfano sarebbe stato ucciso per aver scoperto il giro di riciclaggio di denaro sporco, che si nascondeva dietro il commercio degli agrumi e al quale erano legati gli interessi del boss Nitto Santapaola e quelli di insospettabili imprenditori legati alla massoneria.

Nel frattempo, seppur con colpevole ritardo, la figura di Beppe Alfano esce dall’anonima dimensione locale e balza all’attenzione dei media nazionali e dell’opinione pubblica. Si scopre che è morto da precario e solo dopo la morte gli viene assegnato il tesserino di giornalista.

#fancityaccaddeoggi

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