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sabato, Maggio 4, 2024
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Fausto e Giulia

10341728Era in agosto, a Lugano. Anno 1953. Faceva un caldo infernale, nonostante qualche strisciolina di brezza che arrivava dal Lago. Lui, come sempre, aveva corso da grande e quando, con passo deciso, si era inerpicato sulle scalette della tribuna, con quelle gambe lunghe e magre, era sembrato un uccellaccio intento a saltabeccare fuori zona. Gli occhi erano spalancati, i capelli spettinati, il profilo duro e la bocca chiusa da un vago sorriso, come se le labbra fossero serrata da un pacco di spilli. Fausto, il campionissimo, il Coppi di sempre, timido e un po’ a disagio, si era fatto al centro della tribuna tra le autorità sportive. Qualcuno si era presentato davanti a lui con la maglia iridata in mano, quella di campione del mondo e l’aveva infilata sulla testa del vincitore che, con grande sforzo, alla fine, era riuscito ad infilarla. Poi, da un angolo, era sbucata una signora con un vestito bianco, leggero e vaporoso e un gran mazzo di fiori in mano. Quella signora, presa dall’entusiasmo sportivo, aveva abbracciato il campione sporco e sudaticcio e aveva stampato un paio di baci sulla bocca di Fausto, porgendo i fiori. Il campionissimo, per la prima volta, non si era schernito come faceva sempre. Lei, per moltissimi minuti, era rimasta accanto a lui guardandolo con un sorriso dolcissimo. Tanto dolce che tutti avevano capito. I fotografi si erano precipitati e avevano fatto scattare i flash. Anche i giornalisti sportivi, nella confusione, si erano fatti intorno ai due. Tutti sapevano che Fausto era sposato da molti anni con Bruna Ciampolini, una donna silenziosa e schiva come il marito. E quella chi era?  era “la dama bianca”, soprannome coniato dal giornalista de L’Équipe Pierre Chanyche proprio quel  30 agosto 1953 che aveva scritto: «Vorremmo sapere di più di quella signora in bianco che abbiamo visto vicino a Coppi» per via del suo montgomery color neve. Delle vittorie del campionissimo, delle mitiche scalate sul Pordoi, sul Falzarego, sul Turchino e sulle altre durissime montagne del Giro d’Italia o del Tour e della leggenda Coppi, sono state stilate statistiche, confronti, controlli, scritti decine di libri e girati documentari. Poco, troppo poco, invece, è stato raccontato sull’amore di Fausto e Giulia, sulla loro vita privata al di fuori dei miti e delle leggende. E anche sulle sofferenze che una Italia bacchettona, retriva, bigotta e poco disposta ad uscire, in qualche modo, dai canoni della vita e dell’amore fissati da una religiosità crudele, inflisse all’uomo Coppi e alla sua compagna. Fu quel giorno d’agosto, a Lugano che tutta l’Italia, per la prima volta, seppe. Seppe di un amore «proibito» per la morale comune del tempo e seppe di quei «due pubblici concubini» e peccatori «pericolosi». Cerchiamo di capire un po’ meglio l’amore di Fausto per la «dama Bianca», o meglio per Giulia Occhini e vedere come andarono le cose: l’arresto di lei, il processo, la condanna di tutti e due, la nascita del loro bambino in Argentina. Gli emigranti dell’amore, che ormai si sentivano perseguitati in Italia, erano, infatti, finiti laggiù.  Il caso Coppi-«Dama Bianca», esplode come una bomba nell’Italia delle scomuniche Vaticane ai comunisti o contro chi non si sposava in chiesa, della mancanza di divorzio, delle mamme fattrici ad ogni costo, della famiglia come unica possibilità, per un uomo e una donna di vivere il loro rapporto. I giornali parlano subito di «amore scandaloso» e «lei», la «cattiva» viene indicata come una «rovina famiglie» e l’esempio di «tutto quello che le donne non dovrebbero essere». Pare che persino il Papa in persona (Pio XII) sia intervenuto per invitare Coppi a pensare bene a quel che andava facendo. Non si trattava di minacce, ovviamente. Rimane il fatto che il codice Rocco, il vecchio codice fascista, prevedeva i reati di abbandono del tetto coniugale e di adulterio ed è in questo senso che si muovono subito i magistrati. Coppi e Giulia Occhini, nel frattempo, erano andati a vivere insieme nella villa di Novi Ligure, acquistata da Fausto al momento della separazione dalla moglie Bruna, separazione che datava già da qualche tempo. Giulia Occhini, in quei mesi aveva 26 anni ed era una splendida signora sempre elegante, ben truccata, sicura. Quella di sempre, insomma. Chi è cambiato, invece, è Fausto. Ha lasciato i panni dell’eterno poveraccio. Non è più un rozzo ex contadino. Veste con proprietà, giacca doppio petto e cravatta, cappotti ben tagliati e fatti su misura. È diventato un «signore» e nei nuovi panni si sente bene. Sembra non aver paura di nulla .Ma gli attacchi del perbenismo ufficiale e non ufficiale, non cessano un attimo e tutto diventa crudele, umiliante, cattivo. L’Italia si divide in due: chi è solidale con Fausto e chi lo condanna senza appello. A Coppi, il campionissimo, viene ritirato il passaporto. È soltanto la prima mossa. Una notte, nella villa di Novi Ligure, arrivano i carabinieri che procedono ad una serie di «costatazioni di legge». Cercano la prova dell’adulterio e la trovano. Come? Lo raccontano, senza vergogna o imbarazzo gli uomini dei verbali conservati negli atti del processo. Un brigadiere mette le mani nel letto della coppia e lo trova ancora caldo. Dunque, i due, non potevano certo più dire che stavano semplicemente bevendo insieme un caffé: erano a letto insieme e basta. Che Italia incredibile, barbara e medievale. Lei finisce subito ammanettata. Nella notte, viene trasferita nel carcere di Alessandria. È donna e quindi, evidentemente, doveva pagare ancora più dell’uomo. Fausto è disperato e tenta di tutto per liberarla. Ma non è così semplice. Passano più di 96 ore prima che lei torni a casa. Nel marzo del 1955, il processo. Lei è accusata di aver abbandonato il marito e i figli. Lui, oltre che di adulterio deve rispondere anche di violazione degli obblighi di assistenza familiare. A Fausto, i giudici infliggono due mesi di carcere e tre a lei. Giulia Occhini viene, però, anche «confinata» ad Ancona in casa di una zia. I giudici le vietano, inoltre, di vedere i figli e tornare a Novi Ligure. Giulia, incinta di Fausto, decide allora insieme al suo uomo, di andare a partorire a Buenos Aires. In Italia, chissà cosa avrebbe potuto accadere al piccolo, figlio di «pubblici peccatori» e concubini. «Ad Ancona, quando uscivo per andare a fare la spesa, le donne sputavano dove passavo. Io chiudevo gli occhi e tiravo dritta senza piangere. Ero incinta di Faustino, ma sarei morta piuttosto che far vedere che soffrivo» (Giulia Occhini). Fausto, durante il Giro, riceve a Venezia la prima foto del bambino al quale è stato messo il nome di Faustino. Il campionissimo piange. Poi, in cima allo Stelvio, lancia un urlo di saluto al bambino e si butta nella discesa come un pazzo. Forse è l’unico urlo che sia mai uscito dalla sua bocca in tutta la sua vita. Una coppia, comunque, che ha avuto certamente periodici felici. Lo raccontano tutti: Giulia e Fausto erano davvero fatti l’uno per l’altro. Ma anche l’angoscia e i dolori non hanno mai avuto fine per loro. Lui, in gara, è caduto mille volte e mille volte ha riportato fratture gravi. A lei è morta, giovane, la figlia Lolli. Poi la fine terribile e beffarda di Fausto. Il campionissimo parte per una esibizione nell’Alto Volta: in realtà una scusa per una grande partita di caccia, insieme a colleghi e amici. Ha appena 40 anni. Torna e racconta a Giulia che quel viaggio è stato come una straordinaria e indimenticabile avventura. Due giorni dopo è a letto con una febbre terribile. «È un virus, un brutto virus», dicono i medici. Non si accorgono che si tratta di un terribile attacco di malaria. Il 2 gennaio 1960, alle 8.45 è la fine. Una agenzia di stampa diffonde una notizia agghiacciante, terribile. Eccola: «Essendo il campione un pubblico peccatore a causa delle sue vicende coniugali, ha potuto ricevere l’estrema unzione solo a patto di una solenne rinuncia della sua donna ai legami con lui in caso di guarigione». Al funerale di Coppi Giulia era in ultima fila in chiesa coperta da un velo nero. La famiglia di lui, la moglie e il prete non volevano nemmeno farla entrare. Giulia Occhini, invece, muore a 69 anni, nel 1993, dopo 510 giorni di coma. Era rimasta gravemente ferita in un incidente stradale davanti a «Villa Coppi», dove viveva con il figlio di quel suo grande e famosissimo amore.
«Nei racconti di mia madre, che porto nel cuore, c’è un signore raffinato. Si amavano. Mi piace che si fossero amati. Anche quando ascolto i racconti di strepitose vittorie il mio pensiero non va al grande Fausto Coppi. Va al mio papà che amava la mia mamma.» (Faustino Coppi, il figlio avuto da Giulia Occhini).

(stralci tratti da un articolo di Vladimiro Settimelli, l’Unità)

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