Il recente attentato all’hotel Radisson Blu di Bamako, capitale del Mali che ha fatto oltre 27 vittime, ha lasciato esterefatte molte persone che a stento conoscevano l’esistenza di questo Paese africano a Sud dell’Algeria, con un territorio quattro volte l’Italia e una popolazione di 1/4 quella italiana. Ex colonia francese, indipendente dal 1960.
Paese povero e senza sbocchi sul mare, si sono alternati nel Mali colpi Stato e brevi periodi di democrazia. Ma nel 2012 abbiamo assistito ad una svolta importante: ha ripreso la guerra civile con l’etnia Tuareg che ha formato il Movimento Nazionale di Liberazione della regione dell’Azawad, alleata al gruppo fondamentalista Ansar Dine, aderente al gruppo Salafita per la Predicazione e il Combattimento, denominato Al-Qua’ida nel Maghreb islamico. Questa guerra civile ha un effetto insperato e preoccupante: la distruzione dei reperti religiosi della tradizione “Sufi”, delle tombe denominate Marabutti di alcuni santi musulmani essendo il Wahhabbismo ostile ad ogni forma di culto che non fosse rivolta esclusivamente ad Allah. Non solo sono stati distrutti questi simboli della antica cultura del Mali ma sono state introdotte rigide leggi islamiche non presenti in quel Paese. E qui comincia il disastro: i tre gruppi hanno fatto di tutto per imporre la SHARIA più rigorosa, compreso il taglio delle mani ai ladri, l’imposizione in pubblico alle donne dell’abito Hijab e la separazione dei ragazzi dalle ragazze a scuola. Oltre 100 mila maliani sono stati costretti a emigrare all’interno del Paese e nei Paesi vicini. Bisogna anche tener conto che questa zona del sud Sahara non ha nulla in comune con l’Occidente cristiano e, pertanto, andava rispettata e protetta nelle sue peculiarità e non snaturata e combattuta da un colonialismo che in extremis si è convertito nel “Salvatore” da un nemico islamico che appare addirittura peggiore. Questa è la dinamica storica che non dobbiamo dimenticare e che ci chiede di avviare al più presto un processo di decolonizzazione e di rispetto delle identità locali compatibili con i diritti elementari delle persone umane. |